I Cral, Circoli ricreativi aziendali dei lavoratori, rappresentano un patrimonio storico da tempo in difficoltà. I vari governi che si sono succeduti dagli anni novanta in poi hanno ridotto, per il settore pubblico, i pochi finanziamenti che venivano loro concessi. E, per moltissime imprese private, i primi risparmi sono stati introdotti nell’area del welfare aziendale a vantaggio di interessi primari, quali tutela del  posto di lavoro e retribuzioni. Negli ultimi anni, alcuni grandi Cral (come quello delle Poste) sono stati chiusi; mentre le aziende spingono verso un welfare individuale.

Il tempo libero quale svago e cultura ha assunto un ruolo sempre minore e residuale, inteso  piuttosto quale liberazione del proprio tempo: di cura (anziani, figli piccoli, disabili), di lavoro (flessibilità oraria, congedi), conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, servizi in azienda ecc. Le politiche di promozione culturale e sociale non vengono previste tra gli interventi degli enti bilaterali. Non è un a caso quindi se c’è chi si chiede se le agevolazioni fiscali riconosciute alle aziende per il welfare aziendale non debbano estendersi anche alle quote destinate al finanziamento delle attività promosse dai Cral.

Per garantirsi una possibile sopravvivenza, diversi Cral hanno preso forme giuridiche di associazionismo.  D’altra parte – come rileva la stessa Fitel, la Federazione italiana del tempo libero di Cgil, Cisl e Uil – l'iscrizione ai Cral dei soci aggregati attraverso i Crt (Centri ricreativi territoriali) ha rappresentato un fatto importante, che ha avuto un duplice beneficio: l'aumento degli iscritti e l'apertura delle attività dei Cral ai cittadini. Ciò detto, è evidente che non mancano quesiti sul tappeto. Quale rapporto con istituzioni e associazionismo? Come ridefinire i bisogni dei lavoratori? I Cral vanno ripensati, oltre che rilanciati?  Dovrebbero aprirsi di più al territorio? Fanno abbastanza rete? E ancora: andrebbe cambiata la cultura del contributo e della spesa? A queste (e altre) domande ha tentato di rispondere un seminario della Fitel che si è svolto il 16-17 settembre a Nova Siri (Matera), dal titolo “Contrattazione e qualità della vita”.

Una tematica di grande interesse, perché se è vero che la priorità resta quella salariale e della tenuta dell'occupazione, è altrettanto vero che – con l'avvento delle nuove tecnologie, industria 4.0, la robotizzazione e  l'innovazione, i cambiamenti del mondo del lavoro e dello stesso settore pubblico – le questioni del tempo libero e dei contenuti del welfare aziendale diventeranno sempre più importanti. Di qui la convinzione della Fitel, che non perde occasione per ricordare che “cultura, sport, turismo fanno parte di un modello di sviluppo cui l'Italia non può certo  rinunciare,  e che potrebbe acquisire un peso ancora maggiore nei prossimi anni, anche se scandito in modo innovativo e guidato dall'utilizzo delle reti, che sempre più oltrepassano le tradizionali funzioni associative”.

In un periodo segnato ancora da gravi difficoltà economiche e sociali, da disuguaglianze crescenti, e da uno scenario internazionale denso di preoccupazioni, è fondamentale lo sforzo che il movimento sindacale sta compiendo per rimanere un punto di riferimento forte della coesione sociale. Ma purtroppo – rileva ancora la Fitel – le politiche del tempo libero occupano uno spazio marginale nell'azione contrattuale delle confederazioni. Rientrano in poco più del 30% degli accordi e riguardano soprattutto contributi per centri di aggregazione sociale per promuovere, in particolare, turismo sociale e sport di base. Il sindacato ha delegato le politiche del tempo libero ai Cral, mentre gli enti locali utilizzano le risorse nel sociale più per misure riparative di disagio che per politiche di prevenzione e creazione di benessere.