Ci sono voluti anni per sottoscrivere l’accordo collettivo nazionale tra Servizio sanitario nazionale, cioè lo Stato, e i medici di medicina generale. Accordo sì, perché i cosiddetti medici di famiglia non sono dipendenti ma liberi professionisti che operano in regime di convenzione con il servizio sanitario. Già questa è una bizzarria, tanto è vero che da anni Cgil e Fp chiedono che si cambi “regime” e si passi dalla convenzione all’assunzione. L’accordo regola la convenzione sia dal punto di vista economico che da quello organizzativo e di tutele. E siamo alla seconda bizzarria: sia l’organizzazione che le tutele previste sono ormai anacronistiche e superate. Anche in questo caso, da tempo e in attesa di cambiare regime, la Fp Cgil chiede che cambino alcune regole e si introducano tutele. Nel testo appena varato nulla di nulla.

Intanto la formazione

Sembrerà assurdo ma per svolgere la professione di geriatra, nefrologo o cardiologo – ad esempio – è necessario, dopo aver conseguito una laurea, frequentare un corso universitario di specializzazione con esame conclusivo. Per esercitare la professione di medico di medicina generale invece no. Si deve seguire un corso di formazione regionale e nemmeno in questo caso si è riusciti a prevedere nell’accordo una specializzazione specifica e superiore. “Siamo l’unico settore della medicina che non ha una specializzazione”. A parlare è Giorgio Barbieri, la professione di medico di famiglia la svolge da decenni in Lombardia, è il coordinatore dei Mmg della Fp Cgil. Aggiunge: “Questo da un lato ci mette in un vicolo cieco perché non possiamo svolgere altra attività, non possiamo andare a lavorare in ospedale perché privi di specializzazione. Dall’altro, nell’immaginario collettivo siamo medici di serie B. Quindi la considerazione, il rispetto per il nostro ruolo, la dignità professionale è sempre più in picchiata”.

L’organizzazione del lavoro

Anche rispetto a questo nessuna innovazione. Come tutti i lavoratori e le lavoratrici, anche loro desidererebbero che il calcolo della propria retribuzione avvenisse a partire dalla paga oraria. Invece no, la remunerazione viene calcolata in quota capitaria: il medico riceve 3,5 euro lordi al mese per assistito, più pazienti scelgono quel determinato medico, più lui riceve a fine mese. “La quota capitaria – aggiunge Barbieri – trasforma i pazienti in clienti a cui rispondere positivamente anche quanto si dovesse ritenere che le richieste sono infondate, pena il loro abbandono. Così non si fa medicina”. Pagati per numero di clienti, ma con l’obbligo di tre ore di lavoro giornaliero e così vengono pure considerati come “lavativi” o quasi. Ed è bene ricordare che ciascun sanitario deve comunicare alla Regione l’orario di apertura del proprio ambulatorio, che deve rimanere aperto anche se il medico è malato o in ferie: deve trovare chi lo sostituisca e pagarlo di tasca propria.

Le condizioni peggiorano

Invece di prevedere maggiori tutele come richiesto dal sindacato, l’accordo peggiora ulteriormente le condizioni: aumenta da 1.000 a 1.200 il cosiddetto rapporto ottimale di assistiti da prendere in carico, con la possibilità di estenderlo fino 1.890 per ogni medico. “Da noi in Lombardia – aggiunge il dottore – abbiamo già superato i 2.000 visto che non si riesce a trovare i sostituti per chi è andato in pensione. Ma aumentando il numero degli assistiti, quando a marzo si faranno i conti sui fabbisogni dei mmg si scoprirà come per incanto che ne servono meno delle previsioni”. Spiega ancora il dirigente sindacale: “Queste operazioni servono solo a nascondere la smisurata carenza di professionisti, causata negli anni dalla perdita di attrattività per i giovani medici di una professione che avrebbe dovuto essere il fulcro della garanzia di salute della cittadinanza. È un accordo che appesantisce i carichi di lavoro, invece di migliorarne le condizioni. Si arriva addirittura a ribadire la responsabilità dei medici di medicina generale negli accessi impropri nei pronto soccorso, dimenticando il vero problema delle liste di attesa per le prestazioni specialistiche”. Per di più si prevede che si possa lavorare fino al compimento dei 72 anni di età e si possano chiamare i pensionati come sostituti per coprire malattia e ferie.

Le finte tutele

Sì davvero finte: per tutte le lavoratrici dipendenti e per una parte delle libere professioniste, è previsto un periodo di tempo per la maternità a carico dell’Insp. Per le mediche di medicina generale no. Il “grande passo avanti” previsto dall’accordo appena firmato sarebbe che possono rimanere a casa, garantendo l’assistenza in video conferenza. Una vera follia, che mette anche a rischio di errori professionali. “Per fare diagnosi e curare occorre mettere le mani sull’addome dei pazienti o ascoltarne i polmoni, come è possibile ipotizzare lo si faccia in video chiamata? Per altro almeno la metà dei miei assistiti non sa proprio cosa sia una video chiamata”, aggiunge Barbieri.

Tanti soldi: falso

Sì falso, perché è vero che l’accordo prevede che vengano corrisposti circa 15.000 euro di arretrati a sanitario, ma quelle risorse erano già dovute, previste per il recupero dell’inflazione. Sono meno di 4 auro a giorno lordi: “Ci stanno restituendo quella quota di soldi che ci devono da 5 anni”.

Le case di comunità rimarranno vuote

Esiste una legge, la 502 del 1992, ribadita dal decreto Balduzzi del 2012 dopo esattamente vent'anni, che istituisce il ruolo unico per i medici, quelli di continuità assistenziale e le guardie mediche. A loro spetta e spetterà il compito di “popolare” le case della salute come già previsto e i “medici di famiglia” sono tenuti ad assicurare presenza per sei ore a settimana solo se hanno meno di 1.500 assistiti. Quindi se, come ci auguriamo, le case della salute verranno istituite nei numeri previsti dalla revisione del Pnrr, come succede per le poche già aperte, non potranno affatto garantire la presenza di medici 24 ore al giorno per 7 giorni. Altro che territorializzazione della sanità. E di tutto questo, nel primo accordo siglato dopo la fine della pandemia non c’è nulla.

Amarezza, tanta amarezza

È questo che emerge dalle conclusioni del ragionamento del dottor Barbieri: “L’unico elemento ad emergere è l’abissale distanza tra la fatica quotidiana dei medici di medicina generale e chi li rappresenta con una visione antiquata e frammentata del sistema, che favorisce solo i tagli dei servizi a vantaggio di interessi privati. Oggi abbiamo perso l'occasione di cambiare il sistema e il rapporto di lavoro, migliorando tutele e diritti dei professionisti. Chi ha firmato dovrà spiegare alle lavoratrici e ai lavoratori i motivi di scelte che non modificano nulla o addirittura peggiorano le attuali condizioni di lavoro. Soprattutto, dovrà chiarire quale progetto di medicina generale stanno proponendo se quella che entra a pieno titolo nell’integrazione del sistema salute, o al contrario quella che rimane una monade che fa lavorare in condizioni non ottimali i professionisti il cui unico obiettivo è curare al meglio i pazienti”.

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