Lo scorso marzo l’Agenas ha pubblicato uno studio sul personale del servizio sanitario nazionale nel 2021 (ultimi dati elaborabili), non distinguendo tra dipendenti a tempo indeterminato o con contratti a termine. I numeri sono chiari: “Il personale dipendente del servizio ammontava a 670.566 unità di cui 68,7% donne e 31,3% uomini. Rispetto all’anno 2020 il personale del 2021 risultava aumentato di 6.097 unità e di 21.223 rispetto al 2019”. È bene ricordare che nel 2020 arrivò il Covid e anche il 2021 è stato anno di pandemia e di reclutamento straordinario di personale ma a tempo determinato. Interessante sarà scoprire quanto personale rimarrà in servizio a fine 2023, l’anno della fuga.

Dottori e dottoresse

Se il totale dei dipendenti superava le 600 mila unita, i medici in servizio nel servizio sanitario nazionale erano 108.250, mentre il personale sanitario dirigente ammonta a 127.424 unità. Oggi si stima che i medici siano circa 102mila. Nel decennio scorso, grazie al blocco del turn-over, ai piani di rientro di alcune regioni e al blocco del tetto di spesa per il personale fermo al 2004 -1,4%, non sono stati sostituiti se non molto parzialmente, i sanitari andati in pensione, il risultato è che oggi corsie e ambulatori sono popolati da medici con età media assai alta. E non finisce qui: vista la carenza di personale sono sottoposti a turni di lavoro sempre più stressanti, accumulano ferie che difficilmente potranno godere, e sommano straordinari a straordinari e alla fine non ce la fanno più.

La grande fuga

In realtà non è cominciata nel 2023, ma questo è l’anno dell’acuirsi di un fenomeno cominciato nel 21. Allora lasciarono il Ssn in 2.700, lo scorso anno il numero è salito a 4.000 e da qui al 31 dicembre si arriverà probabilmente ai 5.000 addii. Per Andrea Filippi, responsabile della Fp Cgil Medici, le ragioni della fuga sono chiare: “Stipendi bassi, disorganizzazione, sovraccarico lavorativo. E poi spesso i camici bianchi diventano i capri espiatori delle disfunzioni del servizio e i cittadini se la prendono con loro”. Ormai le cronache sono piene di racconti di medici, anche all’apice della carriera, che abbandonano gli ospedali pubblici per il privato, dai primari radiologi e di ginecologia del Veneto, a quello di ortopedia di Merate in Lombardia, passando per quello del pronto soccorso dell’ospedale di Benevento o per il primario di ortopedia di Palermo. È facile trovare ex colleghi ospedalieri che tornano in corsia da privati a gettone, lavorano meno e con un solo turno di guardia notturno portano a casa anche 1.200 euro. Non solo, grazie alla flat tax per le partite Iva, ai medici conviene il lavoro autonomo: a parità di reddito lordo i dipendenti del servizio pagano un’aliquota maggiore di Irpef e quindi hanno un netto più basso, altra ragione per fuggire dal pubblico e depauperare la sanità.

La grande beffa

La spiega Filippi, che di mestiere esercita la professione di medico psichiatra nel pronto soccorso di uno degli ospedali più grandi della capitale: “Da anni chiediamo lo sblocco del tetto di spesa per il personale, la via maestra per provare a salvare il servizio sanitario nazionale, per non lasciare il campo libero alla sanità privata, è assumere personale. E invece si continua a mantenere il blocco e poi si pagano appalti e gettonisti prendendo le risorse dal capitolo beni e servizi. Davvero un grande inganno, basterebbe utilizzare quelle stesse risorse per assumere”. Se è vero, infatti, che gli stipendi della sanità pubblica sono tra i più bassi d’Europa, la grande fuga non dipende solo dai bassi salari, solo le condizioni di lavoro stressanti oltre ogni limite a rendere non attrattivo il Ssn. Se non si assume personale le cose non potranno che peggiorare. E la difficoltà a trovare medici rischia di diventare un alibi, dice ancora il dirigente sindacale: “Ci si nasconde dietro il dito che non si trovano, ma è un dito che ormai non nasconde più nulla. I medici non si trovano perché si mettono in condizioni di non essere attratti dal servizio sanitario nazionale”.

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La legge di bilancio

Menzogne e inganni. “Quello dei tre miliardi in più è un bluff – dice Filippi –: sono quasi tutti per il contratto 2022-2024 ma mentre abbiamo da recuperare un’inflazione del 16% la previsione degli aumenti si ferma al 6%. Siamo ancora in attesa degli arretrati del precedente contratto, quelli sì ci darebbero un po’ di respiro visto che sarebbero in media 10.000 a testa e non ve ne è traccia, mentre ci dicono che ci daranno 1.400 euro di anticipo sul nuovo”. Ma ciò che fa più rabbia, probabilmente, è che vengono destinati 280 milioni per le prestazioni aggiuntive di medici e infermieri per l’abbattimento delle liste di attesa chiedendo, quindi, loro di aumentare ancora le ore di lavoro quando in molti casi hanno già raggiunto se non superato il tetto massimo previsto dalle norme europee.

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Le liste di attesa e pensioni

La strada prevista dalla manovra è quella di aumentare le risorse da destinare ai privati. “Strada sbagliata, commenta il sindacalista, la via giusta è quella di costruire davvero la sanità territoriale. Perché tutta la diagnostica deve rimanere concentrata negli ospedali? Finché non vi sarà una rete territoriale per la diagnostica non si risolverà nulla”. Il governo invece, oltre a stanziare più risorse per le strutture private accreditate, ha ridotto il numero delle case di comunità previste dal Pnrr e chiede ai medici in servizio di lavorare di più. Infine, il gioco delle tre carte con le pensioni: la legge di bilancio appena arrivata in Senato prevede il ricalcolo della parte di pensione retributiva per alcuni dipendenti pubblici, soprattutto quelli del comparto sanità che si vedranno tagliare l’assegno fino al 25%. È preoccupato Filippi: “Ci sono 4.000 colleghi che stanno cercando di andare in pensione entro il 31 dicembre invece che rimanere a lavoro ancora uno o due anni per evitare il taglio della pensione. E molti di loro hanno sborsato fino a 50.000 euro per il riscatto degli anni di laurea proprio per avere una pensione dignitosa. Una follia a forte rischio di incostituzionalità”.

Non resta che lo sciopero

“Ci fermeremo in tutto il Paese il 17 novembre insieme ai lavoratori e lavoratrici pubblici e della scuola e a tutti gli altri delle regioni del Centro-Italia. Sciopereremo per salvare la sanità pubblica e la dignità del nostro lavoro. E per affermare il valore dell’unità dei lavoratori e delle lavoratrici della sanità: divisioni corporative sono un indebolimento per tutti”.