Se il congresso della Cgil è sempre il luogo della democrazia, della discussione e il tempo dei bilanci, fatto per confrontarsi e per capire quanto si conta davvero, il congresso della Fp Cgil nazionale di questo febbraio 2023, previsto a Cervia dal 14 al 17, è, per la federazione che rappresenta i lavoratori dei servizi pubblici, l’occasione per rilanciare la battaglia radicale a difesa dei servizi pubblici e per la tutela universale dei beni comuni. In mezzo, tra questo e l’ultimo congresso di categoria, quello che si celebrò a Perugia nella seconda metà di novembre del 2018, la lunga tragedia del Covid che ha rivoltato il mondo e impresso brutalmente un prima e un dopo nella storia e nella vita di queste lavoratrici e di questi lavoratori, delle loro famiglie, dei loro colleghi che non ce l’hanno fatta, delle loro paure e del loro coraggio, riscrivendo la gerarchia delle professioni e dei settori.

La pandemia

“La pandemia è stata una tragedia per l’umanità che si è vista vulnerabile e attaccata da qualcosa di impercettibile e non governabile: un virus”. A parlare è Serena Sorrentino, segretaria generale della Funzione pubblica Cgil dal 2016. “Nel 2020 il pianeta ha riscoperto l’importanza del lavoro nei servizi pubblici e in quelli essenziali e ha compreso che senza il mondo delle cure non c’è umanità nel presente e nel futuro. Ci siamo salvati grazie alle competenze cliniche del personale sanitario. Sono stati in trincea a mani nude, chiedevano rispetto e dignità”. Se ci parli, con questi lavoratori, è proprio il loro spirito di servizio a colpirti. La semplicità con cui lasciano intendere che non avevano alternative, che la loro scelta di continuare a lavorare in pandemia non è stato eroismo, ma piuttosto normalità. Come è stato riconosciuto questo grande sacrificio per il bene del Paese, viene da chiedere qui nel mondo davvero normale. “Direi che nelle leggi di bilancio post fase emergenziale – dichiara la leader sindacale – il messaggio mandato al servizio pubblico e alla sanità in particolare è stato molto chiaro: sottofinanziamento del fondo sanitario, nessun piano straordinario di assunzioni, niente deroghe al numero chiuso, niente risorse per il contratto nazionale del triennio che va dal 2022 al 2024. Non solo quindi il lavoro che è stata nostra cura e salvezza non vede riconosciuto il proprio valore, a partire dai ricercatori sanitari lasciati nello sfruttamento della precarietà piramidale, ma la salute in genere non vede alcun investimento pubblico, con il Pnrr, la riforma dell’assistenza del DM77 senza investimenti di spesa corrente (personale innanzitutto) e con un'accelerazione determinata dall’autonomia differenziata. Il disegno è abbastanza evidente, avremo un servizio non nazionale ma regionalizzato, non universale ma privatizzato, che anziché guardare all’integrazione sociosanitaria guarderà alle prestazioni che hanno remunerazione tariffaria da parte del sistema pubblico più alta”.

Parole pesanti come pietre che preparano un congresso bollente per temi e intenti. Parole, sensazioni, distanze confermate dall’unico incontro tra i sindacati e il ministro della Salute, Orazio Schillaci, avvenuto “una sola volta dopo reiterate richieste e l’annuncio di una mobilitazione nazionale perché a più di due anni dall’impegno dei datori di lavoro non si è insediato il tavolo del rinnovo del contratto nazionale delle RSA. Abbiamo chiesto di mettere in agenda anche un confronto su precari, assunzioni e contratti. Nessuna notizia, credo che sia ineludibile rilanciare la vertenza, che per ora ci vede mobilitati a livello regionale, anche a livello nazionale, aprendola a tutti coloro che vogliono salvare la sanità pubblica, anche incrociando la battaglia contro l’autonomia differenziata e il modello di regionalizzazione dei contratti collettivi. Non solo siamo contro le gabbie salariali, ma siamo schierati a difesa di un modello unitario di cure nel nostro Paese che sia integrato, pubblico, appropriato, innovativo e che scommetta sulla valorizzazione di operatori e professionisti”.

Rigenerazioni

Rabbia, consapevolezza, determinazione. Sapere esattamente cosa si vuole, cosa ti spetta. In una parola, azzeccata, per indovinare il titolo di un appuntamento così importante, “Rigenerazioni”. Rigenerazioni di fenomeni, ci viene da pensare, visto che la parola eroi ai lavoratori e alle lavoratrici è suonata spesso stonata. Siamo pur sempre nel mese sanremese dell’anno solare italiano, e fenomeni ci sono sempre sembrati, ci scuserete, coloro che hanno continuato a lavorare quando tutti noi che lo potevamo fare ci siamo chiusi, legittimamente e senza imbarazzo, in casa nostra per scampare al contagio. Rigenerazioni di fenomeni.
“Rigenerazioni – ci spiega Serena Sorrentino – ha diversi significati. L’insieme dei quali ci permette di mettere a terra le azioni indicate nel documento congressuale. Apertura alle nuove generazioni con la lotta al precariato, la reinternalizzazione dei servizi in appalto, il piano straordinario di assunzioni, ma anche la riqualificazione e l’aggiornamento professionale del personale che oggi lavora nella Pa e manda avanti il Paese. Rigenerazioni nel senso di innovazione, le radici delle pubbliche amministrazioni affondano nella Costituzione, ma per far crescere il servizio pubblico c’è bisogno di investimenti per la transizione digitale e per l’innovazione organizzativa. Rigenerazioni vuol dire anche aver la capacità di sfidare i dirigenti della Pa e la politica sul terreno di un progetto di società inclusiva e più giusta che trovi in un nuovo stato sociale, in una nuova dimensione dello spazio pubblico una risposta alle disuguaglianze demografiche, sociali, di genere, territoriali, economiche, culturali, di sviluppo del tessuto economico. Non si fanno questi cambiamenti per decreto, bisogna investire nell’organizzazione del lavoro coniugata all’esigenza di rimodulazione e innovazione dei servizi, serve quindi una grande stagione di contrattazione collettiva nazionale e decentrata”.

La deriva fascista

Un po’ di sana e concreta prospettiva di fronte allo strano destino che ci è toccato. A tutti noi che ci aggrappavamo all’andrà tutto bene dei surreali lockdown, con una punta di puerile rifiuto dell’esperienza, di fanciullesco ottimismo, ritrovarci, in rapida successione, l’orda visigota dei sì dux no vax nel corridoio d’ingresso della casa della Cgil il 9 ottobre del 2021 e, un anno dopo, i fascisti con cui avevano sempre flirtato maggioranza solida in Parlamento è stato davvero un pugno in faccia. Tanto per cambiare, “tutto quello che poteva andare storto è andato storto”. Cosa può andare peggio di così? Cosa può succedere adesso ad esempio sui diritti civili? “Lo Stato è e deve rimanere Laico – ci dice senza tema di fraintendimento Serena Sorrentino –. Il tentativo di trasformare i diritti soggettivi e le libertà personali in terreno di lotta politica ha due livelli di allarme: il primo è che ci stiamo allontanando dal primato della scienza e dall’orientamento costituzionale, il secondo è che l’attacco alle organizzazioni strutturate di rappresentanza attraverso la delegittimazione della loro funzione (basta guardare il livello di confronto che il governo ha con le organizzazioni sindacali) e quello ai diritti della persona, siano essi civili o sociali, allarga le disuguaglianze. L’autonomia differenziata sarà una vera e propria secessione sociale e legislativa, il Paese è troppo fragile, rischia di frantumarsi. La risposta alla ricostruzione dopo le grandi guerre della prima metà del 900 fu la nazionalizzazione di settori importanti per unificare e rafforzare il Paese: la scuola, il trasporto, le infrastrutture, l’energia e poi la salute e i diritti dei lavoratori negli anni 70, che camminarono insieme alle conquiste delle donne. La Cgil non a caso presentò il primo Piano del Lavoro. Le grandi agenzie pubbliche e i ministeri furono l’ossatura della nuova repubblica. Ora come pensiamo che le regioni, non solo quelle del Sud, nel mercato globale abbiano strumenti e risorse per competere con Stati, multinazionali, accordi transnazionali sulle scelte di politica economica? Dovevamo rafforzare l'Europa Sociale e invece frammentiamo l’Italia, mettendo a rischio la tenuta delle Istituzioni di prossimità a partire da comuni, province e città metropolitane. Soggetti messi in ginocchio da tagli alla spesa pubblica e aumento della domanda sociale di servizi e assistenza dopo le crisi di questo nuovo secolo: finanziaria, sanitaria cui segue ora la guerra”.

La rappresentanza

Ce n’è abbastanza per perdere fiducia nei soggetti che hanno svolto tradizionalmente un ruolo di rappresentanza. “Pensare che la crisi di rappresentanza non riguardi anche noi sarebbe sbagliato come lo è però sovrapporre le difficoltà di rappresentatività della politica a quelle sindacali. La nostra federazione – dichiara con orgoglio Serena Sorrentino – è cresciuta costantemente in questi anni nonostante i pensionamenti non compensati dalle assunzioni per il blocco del turn over, abbiamo intercettato i giovani con la preparazione ai concorsi, con le iniziative politiche, evolvendo la nostra cultura sindacale nel settore pubblico, interrogandoci sui cambiamenti introdotti dalle professioni regolamentate e dalla rivoluzione digitale. Nei contratti abbiamo innovato carriere e ordinamento per dare prime risposte. Le persone hanno voglia di partecipare, basti osservare l’affluenza alle elezioni delle rsu costantemente sopra il 70%, ma vogliono anche incidere e poter chiedere al proprio rappresentante conto della sua azione. La Cgil ha scelto da tempo il modello di trasformazione in sindacato di strada, che per le caratteristiche del mondo che noi rappresentiamo abbiamo tradotto in sindacato di comunità. Abbiamo inaugurato Spazio Pubblico, casa della cultura sindacale aperta al territorio, abbiamo investito nel poter fornire noi come sindacato formazione professionale e certificata a rappresentanti, lavoratrici e lavoratori che hanno obblighi di aggiornamento e procedure concorsuali per le progressioni di carriera. Occorre quindi da un lato ripensare il nostro modello sindacale facendolo ruotare attorno al ruolo dei delegati a cui però vanno dati strumenti di azione collettiva e tutela individuale”. Ma si può vincere la sfida della rappresentanza tenendo fede alle proprie dinamiche – quella congressuale in corso ad esempio – o i giovani di oggi hanno bisogno di risposte diverse, diverse regole di ingaggio e modalità di partecipazione? Più rapida, magari? “Sulla rapidità abbiamo ampi margini di miglioramento, ma sicuramente il ricorso alla digitalizzazione ci aiuta a essere più tempestivi, a intercettare anche coloro i quali non possono garantire la partecipazione se non con strumenti flessibili che conciliano con gli orari di lavoro e vita, sempre con la consapevolezza che viviamo di relazioni sociali e che quelle vanno coltivate e non possono essere disintermediate”.

Il programma

Sarebbe rimasto molto da dire, ma adesso è meglio che parli il congresso. Con le relazioni dei segretari, da Sorrentino a Landini, da Fracassi a Pavanelli. Con il dibattito che riflette la ricchezza dell’esperienza e della diversità. Con le voci e i luoghi delle riflessioni alte, strappate all’iter di confronti e commissioni che pure ne sono declinazione in concreto. Su Antifascismo, Resistenza e Costituzione, ci saranno Gad Lerner e Laura Gnocchi; sul futuro del Pianeta, Mario Tozzi; e negli spazi dell’Hotel Dante che ospita il congresso verranno allestite persino due mostre, una su donne, lavoro e maternità a cura della fotografa Silvia Cappelletto, l’altra, Mai indifferenti, della sezione Anpi Adele Bei della Cgil Nazionale. 

Ascoltare il lavoro

Una manciata di righe però ce le teniamo per la segretaria che è all’ultima curva. Da qui a un anno e poco più dovrà consegnare la categoria nelle mani di qualcun altro. Le chiediamo di svelarci cosa resterà nel suo bagaglio. Cosa le hanno insegnato i delegati e le delegate di questo mondo complesso e variegato dei servizi pubblici. “Che la ricchezza di passione e intelligenza nella quale siamo immersi, nel nostro sindacato, è un valore straordinario. Che dovremmo trovare il modo di renderla più visibile e più incidente nelle nostre scelte. Le lavoratrici e i lavoratori hanno una generosità immensa, che l’ascolto ci rende capaci di essere interpreti. Il confronto con le lavoratrici e i lavoratori non è solo arricchente, è un processo politico che dà origine alla costruzione della nostra azione, la orienta, la verifica. È la strada più difficile ma l’unica efficace. Le delegate e i delegati della Funzione Pubblica hanno tutte e tutti un tratto che esemplica cosa è per noi la confederalità: non guardano solo all’interesse dei lavoratori ma anche ai cittadini. Prima del Covid, facendo un’assemblea in un ospedale e facendo il giro dei reparti con i delegati per parlare con il personale, vidi una lavoratrice molto scossa, le chiesi cosa avrebbe voluto dal sindacato, mi diede una risposta che ha aperto uno squarcio nel mio cuore e una continua tensione nel mio lavoro a tenere questo insegnamento come monito: non richiese né attenzione al salario, né la valorizzazione della professione infermieristica. Mi guardò e con gli occhi lucidi indicò una barella in un corridoio, in mezzo a tante che ospitavano pazienti che non avevano posto nelle stanze e mi disse: ‘Oggi ho chiesto a una collega di aiutarmi tenendo un lenzuolo a protezione di quella signora che aveva bisogno di essere lavata, qui in mezzo a questo via vai, sotto gli occhi di tutti. Aiutami a ridare dignità ai pazienti, perché ho scelto di fare l’infermiera per prendermi cura delle persone’. Dare dignità alle persone vuol dire prendersi anche cura di chi lavora. Per questo, per la pace e la dignità del lavoro, il congresso sarà anche l’occasione per rilanciare la mobilitazione, il lavoro va ascoltato e al lavoro va restituita dignità”.