Shernon Holding, la società che dall’agosto scorso gestiva i 55 punti vendita di Mercatone Uno, è stata dichiarata fallita dal Tribunale di Milano. Per lo storico marchio della grande distribuzione si tratta dell'ennesima tappa - forse l'ultima - di un'odissea iniziata sette anni fa. Gli oltre 1.800 lavoratori lo hanno scoperto via Facebook e Whatsapp nella notte tra venerdì 24 e sabato 25 maggio, e da allora sono iniziati picchetti e presìdi di fronte ai negozi chiusi in tutta Italia. Per oggi (lunedì 27 maggio) è stato convocato un tavolo di crisi a Roma, alle ore 15.30 presso la sede del ministero dello Sviluppo economico, per assicurare un sostegno e una prospettiva di lavoro ai dipendenti. Previsto anche un presidio sindacale di fronte al dicastero.

“La convocazione al dicastero dei sindacati, dell'azienda, dei commissari fallimentari e del curatore fallimentare di Shernon deve essere il primo passo per trovare una soluzione al fallimento della società proprietaria di Mercatone Uno e per mettere tutti di fronte alle proprie responsabilità”. A dirlo è il segretario generale della Cgil Maurizio Landini: “Gli accordi vanno sempre rispettati, a maggior ragione se vengono presi di fronte al governo che è garante delle promesse fatte da un'azienda, che non può permettersi di prendere in giro lavoratori e ministero”.

Per il segretario generale della Cgil “è intollerabile e vergognoso che 1800 lavoratori e le loro famiglie siano venute a conoscenza del fallimento via Facebook. Adesso è urgente avere assicurazioni sulla salvaguardia dei posti di lavoro e preservare il futuro dei lavoratori e delle loro famiglie”. Maurizio Landini, in conclusione, si augura che “il governo si attivi immediatamente, non solo per richiamare i proprietari e i curatori alle proprie responsabilità, ma per individuare soluzioni produttive per l'azienda e mettere a disposizione dei lavoratori la indispensabile strumentazione di sostegno”.

Il fallimento della società non è un fulmine a ciel sereno. “Già nei primi mesi dell'ingresso di Shernon – spiegano Filcams Cgil, Fisascat Cisl e Uiltucs Uil - buona parte dei soci che avevano costituito la società ad hoc per l'acquisizione sono fuoriusciti dall'asset societario”. La situazione si è progressivamente aggravata fino a quando la mancanza di liquidità “ha fatto sì che, negli ultimi mesi del 2018, la merce nei magazzini, e di conseguenza nei negozi, cominciasse a scarseggiare”. Fino ad arrivare allo scorso marzo, segnalano i sindacati, quando “i punti vendita risultavano sprovvisti di merce e la stessa non veniva più consegnata, sebbene già venduta e pagata dagli acquirenti”.

Sempre in marzo l'azienda aveva annunciato una ricapitalizzazione da 20 milioni, giudicata dai sindacati “assolutamente insufficiente”, per poi ad aprile chiedere il concordato preventivo. Una decisione, proseguono Filcams, Fisascat e Uiltucs, presa “senza darne informazione alcuna, nemmeno al ministero dello Sviluppo economico” (come confermato dal verbale della riunione allo stesso ministero del 19 aprile). Ma la richiesta di concordato è stata respinta dal Tribunale, “avendo riscontrato - spiega il curatore fallimentare Marco Angelo Russo - un indebitamento complessivo, maturato in soli nove mesi di attività, per oltre 90 milioni, oltre a perdite gestionali fisse di 5-6 milioni al mese e alla totale assenza di credito bancario e di fiducia da parte dei fornitori”. La verifica, conclude Russo, ha dato esito negativo “perché i costi da affrontare per esercitare l’attività erano irrimediabilmente e notevolmente superiori ai possibili ricavi, quindi era impossibile proseguirla senza arrecare gravi pregiudizi ai creditori”.