Fino a due anni fa la parola “smart working” era quasi sconosciuta alla maggior parte dei lavoratori e dei cittadini. Con la pandemia si è verificata la sua grande esplosione, visto che il virus ci ha obbligati a lavorare da casa. All’inizio l’immaginario collettivo ha reagito con una sorta di diffidenza, mista a paura. Poi, con l’esperienza pratica, si sono scoperti aspetti inattesi, relativi per esempio ad un diverso modo di conciliare i tempi di vita con i tempi del lavoro. Sul tema si sono scritte svariate analisi, le ricerche sociologiche si sono moltiplicate. Per quanto ci riguarda abbiamo deciso di rileggerci i sondaggi mensili che l’Osservatorio Futura produce ogni mese per conto della Cgil. Si tratta di interviste ad un campione rappresentativo della popolazione italiana sulle condizioni economiche e sociali. Allo smart working, dall’epoca del lockdown in poi si è dedicato uno specifico focus mensile.

Un anno fa
Cominciamo con una wave che risale esattamente ad un anno fa, quella del novembre 2020. Il 47% di chi lavorava all’inizio dell’emergenza ha fatto uso dello smart working, almeno per un periodo. Oltre un quarto degli intervistati (il 27%) ha sperimentato lo smart working a causa dell’emergenza. Il giudizio sullo smart working, nel novembre del 2020 risultava leggermente migliorato rispetto a quello che era stato registrato nel sondaggio di settembre. Gli intervistati mostravano di avere meno timore e meno diffidenze rispetto all’inizio delle loro esperienze concrete. Tra i punti di forza del lavoro da casa, oltre alla prevenzione del contagio, si segnalavano la possibilità di avere più tempo a disposizione per sé e per la famiglia, di coniugare meglio lavoro e tempi di vita (worklife balance), di ottenere risparmi (legati alla riduzione dei costi di viaggio e ai pranzi fuori). Ma ovviamente non si era in presenza di una condizione tutta rose e fiori. Parecchi anche i punti critici, tra cui: l’isolamento sociale (una ridotta socializzazione, la difficoltà a coltivare le relazioni con i colleghi) e l’orario dilatato. Un lavoratore su due (senza considerare gli imprenditori), un anno fa dichiarava che avrebbe gradito lavorare in smart working anche dopo l’emergenza sanitaria almeno per qualche giorno alla settimana. Questa soluzione era privilegiata da chi faceva smart working anche prima dell’emergenza sanitaria.

I lavoratori lo vogliono regolamentato
Già un anno fa emergeva dalle interviste una richiesta che si è poi ripetuta in tutti i sondaggi del 2021. Tra i lavoratori che vorrebbero continuare a utilizzare lo smart working anche dopo l’emergenza, è sentita l’esigenza di regolamentare lo strumento nei contratti nazionali di lavoro: nel novembre 2020 (ma il dato è rimasto pressoché invariato) lo richiedevano 8 lavoratori su 10. Tale necessità è più viva nei giovani e in coloro i quali non hanno mai sperimentato lo strumento; inoltre tra i lavoratori dei servizi e tra gli occupati nel settore privato e nel terziario. Nei primi mesi di quest’anno i giudizi si sono via via modificati, ma alcune tendenze d’opinione sono rimaste costanti. Alla iniziale paura si era sostituita una sorta di adesione entusiastica alle nuove organizzazioni del lavoro. Poi però i giudizi positivi si sono parzialmente sgonfiati. Nel sondaggio dell’Osservatorio Futura del febbraio 2021 scopriamo che il giudizio sullo smart working, pur restando decisamente positivo (score 3,67 in una scala da 1 a 5), mostra primi segni di cedimento e fa segnare un nuovo punto di minimo dall’inizio delle rilevazioni. Il 61% degli intervistati (erano il 63% nel gennaio 2021) giudicava lo smart working in modo positivo. Appena un 14% degli intervistati si dichiarava critico, ma la quota risulta in lieve aumento rispetto ai mesi precedenti. Chi aveva accumulato esperienza di smart working anche prima del Covid si sentiva comunque più a suo agio a lavorare da remoto rispetto ai lavoratori che hanno sperimentato lo smart working solo a seguito della pandemia. È evidente dai sondaggi che i neofiti del lavoro da casa sono rimasti in fondo più affezionati al lavoro in presenza (ovviamente non per quelli che svolgono lavori particolarmente usuranti).

Tempi di lavoro, tempi di vita
Lo smart working rappresenta comunque una soluzione gradita ai lavoratori anche per il post pandemia: rappresenta cioè una valida alternativa o una modalità complementare al lavoro in azienda per quasi tre lavoratori su quattro, ma già prima dell’estate di quest’anno l’entusiasmo per il lavoro da remoto si era molto ridimensionato. Tra gli intervistati del campione di Futura il giudizio sullo smart working restava positivo (score 3,59 in una scala da 1 a 5), ma fa segnare un nuovo minimo. Il 55% degli intervistati (erano il 57% a aprile) giudica lo smart working in modo positivo. Il giudizio è più negativo tra chi ha sperimentato il lavoro da remoto a seguito della pandemia (score 3,56), mentre si conferma decisamente migliore tra chi ne faceva uso anche in precedenza (3,77). A maggio del 2021 il 27% dei lavoratori dichiarava che avrebbe gradito lavorare da remoto anche finita l’emergenza sanitaria qualche giorno alla settimana, con una maggior prevalenza tra gli uomini, i lavoratori dei servizi, i 18-34enni. Un lavoratore su cinque si dichiarava favorevole a lavorare in smart working per tutta la settimana o quasi anche al termine dell’emergenza sanitaria. Questa soluzione era preferita dai 25-34enni, dai lavoratori dei servizi e dai laureati. 

Sviluppi futuri
Poi dopo l’estate l’opinione pubblica e l’immaginario collettivo sul lavoro hanno subito nuove trasformazioni e l’Italia si è dovuta confrontare con il fenomeno sociale dei no vax e in generale della protesta contro le regole introdotte per combattere la pandemia e ora per prevenire la quarta ondata. Dal periodo più cupo del lockdown molte cose sono cambiate e molto si è fatto per tentare di governare la nuova organizzazione del lavoro. Ma molto c’è ancora da fare e dai vari messaggi che ci arrivano da questi sondaggi uno rimane molto forte e chiaro: 8 lavoratori su 10 richiedono una regolamentazione contrattuale dello smart working considerato in ogni suo aspetto, compresi ovviamente il diritto alla tutela dei dati personali e quello alla disconnessione. Nel frattempo anche le aziende stanno ripensando le logiche dell'organizzazione del lavoro. Molte hanno trovato le loro convenienze nell'utilizzo da remoto dei dipendenti. Altre hanno bisogno di rilanciare il lavoro in presenza. E anche i lavoratori stanno cercando in varie forme il loro equilibrio. Vedremo che succederà nei prossimi mesi.