Un centinaio di dipendenti a rischio, una mobilitazione che va avanti da gennaio e che oggi (lunedì 15 febbraio) vedrà un nuovo sciopero, con presidio davanti ai cancelli. A essere nei guai è la Kemet di Sasso Marconi (Bologna), impresa fornitrice di componenti elettronici. “L’azienda era già stata ridimensionata negli ultimi anni”, spiegano Michele Bulgarelli e Sandra Ognibene della Fiom Cgil di Bologna: “Ora, però, come nel caso della vertenza Fiac, non possiamo accettare altri sacrifici occupazionali in questo territorio”.

La Kemet Italia, specializzata nella produzione di condensatori e dispositivi elettromeccanici, è proprietà di un gruppo thailandese che possiede anche altri stabilimenti in Finlandia e nell’Est Europa. Cinque anni fa la sede emiliana contava 480 dipendenti, ma da tempo subisce la difficile situazione del mercato. La concorrenza spietata dei competitor asiatici e la costante evoluzione tecnologica volta a ridurre i costi di produzione, hanno infatti spinto l’azienda a un progressivo ridimensionamento.

“La Kemet è un’azienda storica del bolognese – continua Ognibene – simbolo di lotte e lunghe contrattazioni sindacali. Il problema è che ci sono già state troppo riorganizzazioni, come nel caso dei 50 esuberi del 2017”. Poche settimane fa la società ha incontrato i sindacati e illustrato un calo degli ordini e del fatturato, pari a 2 milioni di dollari nel 2019 e a 3 milioni 200 mila dollari nel 2020. Oggi la ditta dà lavoro a 376 persone, di cui 319 attualmente coinvolti in contratti di solidarietà, ma, con l’emergenza Covid ancora in corso e la costante perdita del fatturato, si apre la possibilità di tagliare i posti di lavoro. Ora, purtroppo, ci sarebbe un 30% di eccedenze.

“L’azienda ci ha parlato di 105 esuberi, ma questa scelta è frutto di un piano industriale che non si è mai realizzato”, continua la delegata Fiom: “La questione centrale è che non c’è certezza sulle funzionalità dello stabilimento e sul futuro degli altri 200 dipendenti. Siamo molto preoccupati, serve una nuova prospettiva produttiva e occupazionale”. I sindacati chiedono un maggiore coinvolgimento delle istituzioni locali e regionali, ma anche un sostegno da parte della cittadinanza. Gli obiettivi sono chiari: servono investimenti che garantiscano all’impianto emiliano lavoro e nuove prospettive.

I lavoratori sono in mobilitazione da gennaio, con assemblee e scioperi articolati. “Chiediamo all’azienda di non ragionare solo in termini di costi, tagli e ammortizzatori sociali, ma di investire in una politica industriale più intraprendente e adeguata al mercato globale”, conclude Sandra Ognibene: “È una questione di responsabilità, anche perché alla Kemet lavorano molte donne e l’età media è 45 anni. Persone difficili da ricollocare e troppo lontane dall’età pensionabile, sarebbe un disastro per la comunità locale”.