Non solo medici e infermieri. Ci sono anche altri lavoratori che, in piena emergenza Coronavirus, hanno continuato a lavorare tutti i giorni esponendosi al rischio di contagio, per mettersi al servizio della collettività. Tra questi gli operatori ecologici, che hanno continuato a pulire le nostre strade, a raccogliere i nostri rifiuti, spesso casa per casa. E non sempre è stato possibile svolgere il proprio lavoro proteggendosi. A volte completare il proprio turno ha significato rischiare la propria salute.

A loro il Covid ha portato non pochi problemi, che sono andati a incidere su una situazione spesso già molto delicata. Raccogliere, tra gli altri, i rifiuti di tutti i cittadini contagiati dal virus, e farlo spesso senza mascherine e guanti e senza alcuna sanificazione dei mezzi e degli ambienti. Nonostante i protocolli di sicurezza stabiliti dal governo, non sempre le regole sono state rispettate, mostrando ancora una volta uno spaccato delle tante Italie che costituiscono il nostro Paese. Problemi di sicurezza, comunque, che nel settore dell’igiene ambientale sono storia nota.

Ma non solo la sicurezza dei lavoratori è stata colpita dal virus. Un altro grosso rischio per il settore, causato dal Covid-19, è quello economico. Con il lockdown infatti hanno chiuso tantissime attività commerciali che quindi hanno smesso di pagare la tassa sui rifiuti. Queste attività rappresentano per il settore dell’igiene ambientale una delle principali fonti di reddito. Con la loro chiusura i Comuni calcolano che ci sarà una perdita di circa 400 milioni che il decreto rilancio non copre. E chi pagherà il conto? Con ogni probabilità i lavoratori che rischieranno di ricevere il proprio stipendio con dei ritardi.

Non dimentichiamoci che nel settore dell’igiene ambientale esiste già un problema di morosità, utenti o aziende che pagano in ritardo la tassa sui rifiuti. E adesso, quanti cittadini e quante imprese, a causa della crisi, non saranno in grado di pagare la Tari? Secondo le stime dell’Anci sull'impatto della crisi sui redditi delle persone e sulle aziende, si potrebbe arrivare anche ad un incremento della morosità di un miliardo. Questa assenza di risorse con ogni probabilità avrà un impatto devastante sul settore.

Queste difficoltà abbiamo voluto ascoltarle dalla voce dei lavoratori: Dino da Reggio Calabria, Tiziano da Roma, Riccardo da Firenze. Tre operatori ecologici il cui lavoro in questi mesi non si è mai arrestato. Tre situazioni diverse, che hanno voluto raccontarci, che descrivono l’esatto spaccato di questa Italia dove pare esistere una serie A e una serie B.

Dino. Reggio Calabria: "Siamo stati totalmente abbandonati"

“Se dovessi descrivere la situazione qui a Reggio Calabria in una parola sarebbe ‘disastrosa’. L’emergenza Coronavirus ha evidenziato ancora una volta che per noi operatori ecologici lavorare in sicurezza è un lusso che pare non possiamo permetterci. Con lo scoppio del Covid siamo stati completamente abbandonati: non riceviamo neanche le più elementari forme di sicurezza. Dall’inizio di questa storia lavoriamo senza guanti, senza mascherina e senza che mezzi e strumenti vengano sanificati. In questi tre mesi abbiamo ricevuto i dispositivi di protezione individuale una sola sera, e sto parlando di quelli monouso. Quando poi un gruppo di colleghi ha provato a farlo presente, rifiutandosi di lavorare in quelle condizioni che ci esponevano tutti al rischio di contagio, la risposta dei dirigenti è stata che o cominciavano il proprio turno o sarebbero stati contestati. E nonostante i miei colleghi abbiano abbassato la testa e fatto il proprio lavoro, la contestazione è arrivata comunque. Avevamo già molti problemi. Per dirne uno: mezzi senza lampadine e con pneumatici malridotti. Tutte cose denunciate e sulle quali non si è mosso nulla. Poi con l’emergenza Covid siamo tornati indietro di 50 anni. Per fortuna la Calabria è stata colpita marginalmente dal virus, altrimenti in quelle condizioni poteva succedere qualcosa di serio. Insostenibile”.

Tiziano, Roma: "Il lavoro è venuto prima della sicurezza"

“Con il Covid abbiamo riscontrato la solita questione: prima il lavoro, poi la sicurezza dei lavoratori. Una formula, un modus operandi, che comincia molto prima dell’emergenza. Ci sono problemi che si potrebbe dire che ci portiamo dietro da sempre. Uno di questi è quello delle condizioni degli ambienti: spogliatoi con gravi problemi di igiene, strutture fatiscenti, con l’intonaco staccato, porte e finestre non funzionanti e impianti di areazione fuori uso (che, in un periodo come questo, con il virus in giro, è una grave carenza). Altro aspetto è quello della nostra salute, che viene spesso trascurata. Facciamo una raccolta dei rifiuti porta a porta senza che ci siano le condizioni adatte. Nel corso di un turno ci capita spesso di dover raccogliere la spazzatura di cassonetti che, invece di trovarsi in prossimità della strada, sono molto all’interno dei condomini. Questo vuol dire, ogni volta, fare viaggi di centinaia di metri con i sacchi in spalla. Per non parlare del famoso ‘lancio del sacco’. I mezzi di cui disponiamo non sono preposti per la raccolta manuale. Quindi i carichi di spazzatura li dobbiamo letteralmente lanciare. Non una ma decine di volte nel corso di tutto un turno. Dopo circa cinque anni di raccolta porta a porta siamo a pezzi, tra mal di schiena, lesioni agli arti superiori e altri problemi di salute. Basti pensare che solo in Ama si contano mille lavoratori totalmente o parzialmente inabili. È una cifra enorme. Quello che sembra, almeno apparentemente, è che ci sia la totale mancanza di volontà di risolvere questi problemi. Abbiamo ripetutamente fatto esposti, chiesto l’intervento della Asl, ma di fatto nessuna risposta e nessun cambiamento”.

Riccardo, Firenze: "Emergenza gestita con grande impegno"

“L’impegno da noi è stato enorme. Dopo un momento di psicosi iniziale, appena cominciata l’emergenza, la situazione è stata presa in mano e i problemi si sono risolti, passo dopo passo. La vicinanza del sindacato è stata tangibile: grazie alla Cgil ogni settimana si sono fatti incontri con l’azienda per analizzare la situazione, le criticità, cercando di trovare soluzioni, facendo un resoconto di quello che era stato fatto e di quello che c’era ancora da fare. Questo ci ha permesso di lavorare in sicurezza: mascherine, gel, riorganizzazione del lavoro in modo di mantenere le giuste distanze, turni sfalsati e diversificati per non sovrapporci tra di noi e smart working per la parte impiegatizia. Questi ultimi rientreranno in ufficio gradualmente, un paio di giorni a settimana. La nostra azienda conta 2.200 persone, mettere insieme tutti i pezzi non è stato facile. Ma con ragionevolezza e confronto ci siamo riusciti. Nonostante il vasto perimetro che ricopriamo, abbiamo avuto solo due casi in tutta la popolazione aziendale. Non sono qui a dire che non abbiamo vissuto i nostri momenti di difficoltà, o che nella gestione sia stato tutto perfetto. Ma c’è stato, soprattutto da parte della Cgil, un impegno enorme. E questo impegno ha prodotto dei grossi risultati: la nostra salute e la sicurezza”.

Dino, Tiziano e Riccardo ci consegnano, attraverso la loro diretta esperienza, la fotografia del proprio territorio. Ancora una volta quello che emerge è una profonda frattura che divide il Nord dal Sud del Paese. Tante Italie che offrono ai propri cittadini qualità di vita e di lavoro molto differenti. Una situazione pregressa che non ha fatto altro che mostrarsi con ancora più evidenza in questa fase di emergenza Covid. “Come sempre in questo settore è emersa con forza la fragilità della gestione del servizio nel Sud del Paese”, commenta Federico Bozzanca, segretario nazionale della Fp Cgil. Le cause? “La frammentazione dei sistemi di raccolta, l’assenza di impianti, un sistema di appalti che riduce i costi del servizio e quindi condiziona anche le condizioni di lavoro, il ritardo nei pagamenti da parte degli enti che si traduce nel ritardo del pagamento dei dipendenti da parte delle aziende”. Senza seri investimenti, senza risorse, sarà sempre impossibile cambiare la situazione.