Come ogni anno il 21 marzo, primo giorno di primavera, l’associazione Libera celebrerà, insieme a tutte e tutti noi, la Giornata della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie. Questa XXV Giornata della memoria, però, sarà particolare, tutti chiusi nella propria casa, vicini – come sempre –, ma fisicamente lontani. E allora la proposta di Libera, immediatamente fatta propria anche dalla Cgil, è quella di realizzare una campagna social che a partire dai profili personali di ciascuno crei un racconto di memoria collettiva, fatta dei volti di oggi associati ai nomi delle vittime innocenti di ieri.

“Per la Cgil e per le forze di progresso – scriveva Carlo Ghezzi nell’introduzione al volume Terre e libertà. Storia di sindacalisti uccisi dalle mafie (edizioni LiberEtà, pp.176, euro 12.00) – la lotta alle mafie, alle violenze, a ogni forma di illegalità antica o nuova hanno sempre rappresentato una delle grandi priorità, quasi una precondizione per poter puntare ad avere un ruolo e a svolgere una funzione per uno sviluppo diverso del Paese. Un impegno per il quale sono stati pagati pesanti tributi, che però hanno saputo conferire grande spessore e grande concretezza alla capacità del sindacato di guidare anche nei momenti più difficili, contro la mafia e contro le diverse forme di criminalità organizzata, le forze migliori del Mezzogiorno e dell’Italia”. Perché non scrivere allora il nome di uno dei nostri martiri, uno dei tanti, troppi, sindacalisti morti per difendere i nostri diritti?

Nel secondo dopoguerra siciliano, fra il 1944 e il 1948, i sindacalisti che cadono sotto i colpi della criminalità organizzata sono più di 40. Il 2 marzo del 1948 è ucciso in contrada Raffo, a Petralia Soprana (Palermo), il capolega della Federterra Epifanio Li Puma, mezzadro e socialista. Il 1° aprile viene assassinato a Camporeale, al confine tra le province di Trapani e Palermo, il segretario della Camera del lavoro Calogero Cangelosi, anch’egli socialista. Al centro, nel tempo e nello spazio fra questi due delitti si colloca, il 10 marzo, l’assassinio di Placido Rizzotto, partigiano, socialista, segretario della Camera del lavoro di Corleone e dirigente delle lotte contadine. Sarà l’allora giovane capitano dei carabinieri Carlo Alberto Dalla Chiesa a indagare sul delitto Rizzotto: il lavoro dell’ufficiale, destinato a divenire un nome celebre nel corso dei decenni successivi, porterà all’incriminazione di Luciano Liggio, Pasquale Criscione e Vincenzo Collura, che tuttavia, alla fine del 1952, verranno assolti per insufficienza di prove.

Gli atti terroristici contro il movimento contadino e i suoi dirigenti cominciano con l’uccisione di Andrea Raia il 5 agosto 1944, cui fa seguito – poco più di un mese dopo, il 16 settembre – l’attentato a Girolamo Li Causi, segretario regionale del Pci, durante un comizio a Villalba, feudo di don Calò Vizzini. “Fu quello il mio primo bagno nella mafia del feudo, la mafia che aveva le terre in affitto”, ricorderà anni dopo Emanuele Macaluso, quel giorno presente a Villalba. Gli assalti alle Camere del lavoro della Cgil ancora unitaria, le intimidazioni e i pestaggi dei suoi dirigenti, i primi omicidi proseguiranno negli anni seguenti. 

Il 21 dicembre 1946 Nicolò Azoti viene assassinato. “Come ogni sera tornava dalla Camera del lavoro – racconterà anni dopo la figlia –, sentii le urla straziate di mia madre, poi nulla più”. Il 4 gennaio 1947, a Sciacca, provincia di Agrigento, la mafia uccide davanti alla porta della sua abitazione Accursio Miraglia, segretario della locale Camera del lavoro e dirigente comunista. Il 13 febbraio 1947 a Villabate (Palermo) muore Nunzio Sansone, militante comunista impegnato nella lotta per la riforma agraria, fondatore e segretario della locale Camera del lavoro. Lo stesso giorno a Partinico, sempre in provincia di Palermo, viene ucciso Leonardo Salvia, anch’egli in prima fila nelle lotte per la distribuzione delle terre. Un tributo di sangue che continua anche negli anni successivi, con l’uccisione, tra gli altri, di Salvatore Carnevale il 16 maggio 1955, Vincenzo Di Salvo il 17 marzo 1958, Pio La Torre il 30 aprile 1982.

“Non sono in molti a ricordarlo – raccontava Emanuele Macaluso, segretario generale della Cgil Sicilia dal 1947 al 1956, in una bella intervista rilasciata a Rassegna Sindacale in occasione del settantesimo anniversario di Portella della Ginestra –, ma dall’inizio del 1947 e fino a prima dell’attentato erano stati ammazzati già tre sindacalisti: tutti uomini di valore, dirigenti e militanti del calibro di Accursio Miraglia, Pietro Macchiarella (ucciso il 17 gennaio 1947, ndr), Nunzio Sansone. Anche se va detto che le intimidazioni, quando non addirittura gli atti terroristici contro il movimento sindacale e i suoi leader erano cominciati nell’immediato dopoguerra, con l’attentato del 16 settembre 1944 a Girolamo Li Causi, all’epoca segretario del Pci siciliano, avvenuto durante un comizio a Villalba. Quel giorno io mi salvai per miracolo: ero al suo fianco e ricordo per filo e per segno gli attimi che fecero seguito alla sparatoria scatenata dagli uomini di don Calogero Vizzini, dove risultarono ferite 14 persone e in occasione della quale lo stesso Li Causi fu colpito a una gamba, un fatto che lo renderà claudicante per il resto della sua vita”.

Alla constatazione degli intervistatori: “A cadere sotto i colpi della mafia erano soprattutto sindacalisti della Cgil…”, Macaluso risponde: “Esclusivamente della Cgil! Unitaria fino al 1948, della Cgil post-scissione in seguito. Andrea Raja, Gaetano Guarino, Nicolò Azoti, erano tutti sindacalisti della Cgil e, in particolare, dirigenti del movimento contadino e bracciantile. E del resto furono compiuti soprattutto tra i capi delle lotte per la terra i primi omicidi della criminalità organizzata agli inizi del Novecento, da Luciano Nicoletti a Bernardino Verro, e nel tragico marzo-aprile del 1948, con gli efferati assassini di Epifanio Li Puma, Placido Rizzotto e Calogero Cangelosi”. “Quale era il nostro convincimento? – afferma ancora Macaluso –. Che era un prezzo da pagare…”. 

Un prezzo pagato dai tanti, troppi, che oggi, come ogni anno, ricordiamo.

Ecco il link dove potete trovare la cornice per il 21 e vi ricordiamo velocemente le azioni: fate un cartello con il nome della vittima che volete ricordare, costruite o raccogliete un fiore e scattatevi una foto con cartello e fiore. Sabato 21 marzo alle 9 cambiate la vostra foto del profilo personale Facebook e aggiungete la cornice cliccando qui. Chi utilizzasse anche altri social, come Instagram, può postare la sua foto con cartello e fiore. Facciamolo tutti perché “fare memoria è un dovere – come diceva don Ciotti – che sentiamo di dover rendere a quanti sono stati uccisi per mano delle mafie, un impegno verso i familiari delle vittime, verso la società tutta, ma prima ancora verso le nostre coscienze di cittadini, di laici e di cristiani, di uomini e donne che vivono il proprio tempo senza rassegnazione”. Anche oggi, soprattutto oggi.