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“La situazione? Complicata, molto complicata, anzi disastrosa. E noi lo diciamo da tempo”. Risponde così alla nostra domanda, Gabriele Gilotto, segretario generale della Funzione Pubblica Cgil di Torino. Il sindacato ha spedito missive alle aziende e alla Prefettura fin dal 25 febbraio scorso per lanciare l’allarme sulla condizione degli anziani nelle strutture di assistenza. “Abbiamo fatto tra le 60 e 70 segnalazioni senza avere nessuna risposta anche se avevamo capito che il numero delle persone contagiate era in continua crescita. Non ci sono state però inizialmente reazioni all’altezza da parte della Regione Piemonte e delle singole aziende”. Presto Torino ha vissuto un’emergenza grave quanto quella che si era manifestata nelle province focolaio di Bergamo e Brescia.
I ritardi delle azioni messe in atto dalla Regione Piemonte sono stati subito evidenti, a partire dal numero dei tamponi e dei test eseguiti che sono rimasti intorno al 10% rispetto a quelli che si praticavano in Veneto. Nelle denunce che ci sono state da parte del sindacato e di singoli cittadini si è capito che molte mail dei medici di famiglia all’Unità di crisi si sono perse nei meandri e non hanno avuto risposte. Nelle Rsa è stato difficile anche capire il numero esatto dei contagiati, visto che poi non si sono fatti neppure i tamponi. I responsabili delle strutture, per rispondere alle sollecitazioni del sindacato, si sono trincerati dietro i no comment e non hanno mai ammesso l’insufficienza nell’uso dei dispositivi di protezione individuale. “Ma quello che è stato soprattutto evidente – ci spiega Gabriele Gilotto – è stata l’assenza delle istituzioni. La Giunta Regionale è apparsa da subito spiazzata dalla diffusione del contagio. A questa mancanza si è aggiunta poi la carenza della medicina territoriale che negli ultimi anni è stata progressivamente smantellata. L’esempio lampante di tutto questo è che in tutta la città di Torino sono rimaste attive solo cinque o sei Usca, le Unità Speciali di Continuità Assistenziale create apposta per l'emergenza Covid. E questo è ciò che ci preoccupa maggiormente ora che ricominceranno a circolare per la città migliaia di persone. Chi avrà il controllo sanitario della situazione?”.
Il pericolo di un ritorno di fiamma del contagio e di una situazione sanitaria al limite soprattutto nelle residenze per anziani che solo a Torino ospitano più di 14 mila persone, viene condiviso dal sindacato dei pensionati della Cgil. “Abbiamo avuto percentuali di contagi e di morti peggiori percentualmente simili alla Lombardia e abbiamo contestato i dati regionali che sono apparsi assolutamente incongruenti”, dice Lucia Centillo, segretaria dello Spi di Torino. Gli errori che sono stati commessi in Lombardia si sono ripresentati come un copia-incolla anche in Piemonte. Le Rsa sono state sostanzialmente dimenticate e in parte abbandonate al loro destino, tra la disperazione di ospiti e parenti che in molti casi hanno chiesto aiuto al sindacato. “Noi lo abbiamo unitariamente denunciato, sin dall’inizio – ribadisce Centillo – e ora il dato è davvero preoccupante con il 70 per cento di contagio in molte strutture sanitarie per anziani”. Per come è organizzata la vita urbana in una città come Torino (a differenza dei piccoli centri) è molto difficile che un anziano o un’anziana non autosufficienti possano passare gli ultimi anni della loro vita a casa propria o comunque in famiglia in assenza di adeguata assistenza domiciliare. E questo spiega il grande numero di persone anziane ricoverate in queste strutture che peraltro costano molto di più dell'assistenza a domicilio.
Accanto a questo elemento sociologico, per capire i motivi dell’esplosione del contagio tra gli anziani di Torino, secondo Lucia Centillo è necessaria una riflessione sugli effetti dell’indebolimento della sanità pubblica a favore delle strutture private e con scarsa valorizzazione del territorio. “Forse non sarà un caso – commenta – che le regioni che hanno subìto i numeri più alti della pandemia sono anche quelle che in questi ultimi anni non hanno investito sufficientemente sui servizi territoriali determinando nel caso dell'assistenza delle persone anziane malate non autosufficienti lunghe liste di attesa e un sostanziale processo di privatizzazione della sanità o di sovraccarico del lavoro di cura nei confronti delle famiglie, in particolare delle donne”. Per questo sia i sindacalisti dei pensionati, sia quelli della Funzione pubblica si trovano d’accordo sulla necessità di avviare una riflessione generale sul modello di assistenza e cura. Sono stati già elaborati documenti in questo senso anche a livello nazionale. Ma è un tema che torneremo ad approfondire. Intanto c’è da registrare, anche per il Piemonte, l’avvio di inchieste della magistratura sulle responsabilità che hanno determinato anche a Torino la strage silenziosa degli anziani.