Dalla pandemia dovevamo uscirne migliori, abbastanza umili per riconoscere gli errori e sufficientemente abili per correggerli. Specie nel campo della sanità e della salute, specie nella regione, la Lombardia, che ha pagato il tributo maggiore al Covid.

E invece a distanza di tempo sindacati e associazioni si battono per quelle stesse cose che hanno dimostrato carenze e causato disastri, contestano un modello che non ha funzionato, chiedono con insistenza ciò che gli amministratori dovrebbero mettere in campo. E cioè una sanità pubblica e universalistica che funziona, efficiente ed efficace, vicina ai cittadini.

Il modello Formigoni

“La riforma datata 2022, di aggiornamento del testo unico della sanità, speravamo portasse a un cambiamento radicale, a partire dal ripopolamento del territorio che negli anni è stato svuotato – spiega Monica Vangi, segretaria regionale Cgil Lombardia -. Invece non ha scalfito minimamente il modello Formigoni, ha fatto solo una piccola manutenzione senza tenere in considerazione ciò che è stata la pandemia in questa regione, nonostante le proposte e gli emendamenti che abbiamo presentato. E anzi, sui principi, ha peggiorato la situazione”.

Ma quale equiparazione?

In che modo? Accanto alla parola collaborazione tra sistema pubblico e privato è stata messa la parola (e il concetto) equiparazione. Ma sappiamo tutti molto bene che la parità tra pubblico e privato non c’è, che non sono uguali. Per tanti motivi. Per la mission innanzitutto, perché il privato guarda al profitto e alla sostenibilità economica mentre il pubblico no, poi perché le regole di funzionamento sono diverse, dalle assunzioni del personale al contratto applicato, fino agli investimenti nelle tecnologie, infine per gli obblighi di universalità, che il pubblico ha e il privato no.

“Ve lo ricordate cosa è successo in pandemia? – aggiunge Vangi -. Le strutture pubbliche, sebbene impreparate, hanno accolto subito tutti, il personale ha dato risposte immediatamente, mentre il privato non ha accettato pazienti Covid fino a che la Regione non ha fissato la tariffa. Ma questa è equiparazione? Il privato sceglie ciò che più conviene, si accredita per le prestazioni più remunerative: per esempio, faccio le Tac perché pagano meglio, e non le ecografie. Quindi i due sistemi non hanno gli stessi diritti e gli stessi doveri”. 

Liste d’attesa

Al di là dei principi poi c’è la pratica. E anche qui cambiamenti non ce ne sono stati. Prendiamo le liste d’attesa, che anche in Lombardia sono un fenomeno che è diventato spaventoso: anche qui se una persona non è in grado di pagare un accertamento, un’analisi, rischia di non curarsi. La Regione ha stanziato risorse per ridurle, soprattutto per alcune prestazioni, sulla base di presunte indagini del bisogno.

“Così si è verificato l’effetto paradossale per cui ci sono state diminuzioni minime dei tempi di attesa per alcune, ma c’è stata un’esplosione per altre, sia nel pubblico che nel privato accreditato – afferma la sindacalista -. Questo perché l’agenda unica, obiettivo del governatore Roberto Maroni nel 2015, in Lombardia ancora non c’è. Se per un’ecografia ti dicono che c’è da attendere sei mesi in un ospedale, spetta a te fare il giro delle altre strutture per trovare un appuntamento più ravvicinato".

In questo modo i pazienti vengono rimbalzati da una parte all’altra. E anche quando dimettono un paziente da un ospedale dicendo che deve fare un controllo dopo 15 giorni, finisce che il primo posto disponibile è dopo sei mesi. In questo modo la continuità della cura non è garantita.

Carenza di personale

La carenza di personale è un’altra piaga della sanità lombarda (in questo non fa eccezione rispetto al resto dell’Italia) che si sta cercando di risolvere con i gettonisti. Le specialità più colpite sono i medici di pronto soccorso, gli psichiatri, i pediatri, ma il fenomeno si sta espandendo. Anche i professionisti sono entrati nella logica del mercato: si licenziano dal pubblico, fondano la loro cooperativa, vanno dalla struttura ospedaliera che non ce la fa a garantire un determinato servizio e si offrono di tenerlo aperto.

“La carenza di personale sta diventando un alibi per avanzare con le esternalizzazioni all’interno degli ospedali pubblici, privatizzare dentro il pubblico – precisa Vangi -, e anche per battere sul tema dell’autonomia differenziata: dalla Regione si sta facendo passare il messaggio secondo cui se si avesse maggiore spazio di manovra si potrebbero pagare di più medici e infermieri, cosa che potrebbe arginare l’emorragia di personale”. 

Medici di base, 1 ogni 1.500

Non fanno eccezione i medici di famiglia, primo avamposto per i cittadini. Negli ultimi anni la Regione ha attuato una politica tutt’altro che lungimirante: anziché rimpiazzare i medici che man mano andavano in pensione, ha incrementato dietro compenso il numero di assistiti per quelli che erano in servizio, con l’avallo dei sindacati ma senza la firma della Cgil.

La dimostrazione arriva dai dati: il rapporto medici-assistiti è molto elevato rispetto alle altre regioni, 1466 per ogni professionista in base alle ultime rilevazioni Gimbe, secondo le quali ne mancherebbero all’appello più di mille. Questo perché non si è investito. Adesso la Regione ha chiesto di attivare scuole di specialità e un numero maggiore di borse di studio, ma il gap da colmare è ampio.  

Ripopolare il territorio

I medici di medicina generale sono un punto di accesso fondamentale per il cittadino nelle case di comunità, strutture che quando sono a regime realizzano l’integrazione tra le politiche sociosanitarie, dove viene presa in carico la persona nel suo complesso, uno degli obiettivi del Piano nazionale di ripresa e resilienza. Da un’indagine realizzata dall’Istituto Mario Negri risulta che nella maggior parte delle 85 case di comunità aperte in Lombardia (sulle 216 programmate entro il 2026) questa figura manca, così come mancano gli infermieri di famiglie e di comunità.

“Il territorio va ripopolato, con servizi vicini ai cittadini, facilmente individuabili e in grado di dare risposte alla complessità dei bisogni, con investimenti significativi – dice ancora Vangi -. Occorre inoltre potenziare gli organici di medici, professionisti sanitari, operatori e garantire loro adeguati carichi assistenziali e luoghi sicuri. Fare in modo che ci sia continuità di cura tra ospedale e territorio, rivedere i modelli organizzativi e di accreditamento delle Rsa, che il rapporto tra pubblico e privato sia integrativo e non sostitutivo".

Poi c'è il fronte salute e sicurezza nei luoghi di lavoro: "Il cambiamento parta dal rafforzamento organizzativo e dal potenziamento degli attuali organici del dipartimento - conclude la sindacalista della Cgil -, per passare allo sviluppo di iniziative di prevenzione ed educazione alla salute degli ambiti di vita e aggregazione sociale, scolastici e lavorativi, e a un ripensamento e a un investimento complessivo, abbandonando un’ottica meramente di spesa. Per questo la Cgil Lombardia sarà in piazza il 24 giugno a Roma per la manifestazione nazionale in difesa del diritto alla salute delle persone e nei luoghi di lavoro e per la difesa e rilancio del servizio sanitario nazionale”.