Questa è l'ottava tappa di un viaggio, che ci auguriamo non breve, tra storie di inclusione, resistenza e disobbedienza civile. Storie di persone, istituzioni, associazioni e sindacati che compongono un'Italia diversa. Perché a fare da contrappeso al razzismo strisciante che attraversa il Paese da anni, c'è anche un'Italia che resiste, giorno dopo giorno, all'odio contro i migranti riversato sui social network da migliaia di account, veri o falsi che siano. Un'Italia che dice no. E che spesso non ha voce, che non trova quasi mai spazio nei talk show televisivi, nei “trend topics”, o sulle prime pagine dei quotidiani. Eppure c'è, e si dà da fare. Sempre nel rispetto dei princìpi della Costituzione.

Prima tappa: Saluzzo​ | Seconda tappa: Catania Terza tappa: Ventimiglia | Quarta tappa: Ferrara | Quinta tappa:Matera | Sesta tappa: Gioia Tauro  | Settima tappa: La Spezia

Il tram sferraglia lento lungo la Prenestina. Quando si ferma stride un poco, e rompe una quiete fatta di poche macchine e ancora meno passanti. Da dentro Villa Gordiani, dalle altalene e dagli scivoli colorati, arriva il baccano allegro dei bambini. Le erbacce, come in ogni area verde di Roma, hanno ormai preso il sopravvento su tutto il resto. Ma due passi più in là, oltre l’inferriata del parco, c’è sempre Via Bellegra, con la sua schiera di palazzine color pastello. Anche qui, poco traffico e un'atmosfera placida da paesone. Al piano terra del numero 46, tre vetrine senza insegna. Dentro, scaffali di legno scuro e ripiani zeppi di libri. Ma anche sedie, tavolini e poltrone dall’aria vissuta. È la libreria Todomodo, un’isola di ombra tra le vie schiaffeggiate dal sole. Su una parete, a destra, una grande stampa raffigura le guance infossate di Pier Paolo Pasolini, a ricordarci che da queste parti si arrabattava Tommasino di Una vita violenta, e che a un tiro di schioppo ci sono via dei Gordiani e via Formia, fondali diroccati per diverse scene di Accattone. Oggi, gli orticelli e i pratoni sono ormai diventati Parco, le marane sono state bonificate, chiusi gli sfasciacarrozze, rasi al suolo i tuguri, e le scavatrici hanno smesso di piangere. La borgata pasoliniana “tutta calce e polverone”, insomma, non c’è più. Come neanche il casale pericolante che appariva spesso alle spalle di Franco Citti-Accattone, con quella grossa scritta in gesso rosso: “Vogliamo una casa civile”.

Foto di Marco Merlini

DA “MAMMA ROMA” A “NONNA ROMA”
Quasi sessant’anni dopo, però, da queste parti, e non solo qui, il problema di avere un tetto sulla testa e qualcosa da mettere in tavola la sera resta pressante per molti. Anche se c’è qualcuno che s’è preso la briga di affrontarlo in maniera concreta. Ce lo racconta Gabriele Lambiase, dell’associazione Nonna Roma (e anche qui il richiamo a Pasolini appare immediato), seduto a un tavolino del giardino della libreria e circondato dai panni stesi ad asciugare ai balconi. “A oggi seguiamo circa 200 nuclei familiari in difficoltà. Il 55 per cento sono italiani, l’altro 45 per cento stranieri. Lavoriamo in sinergia con i servizi sociali di due municipi: soprattutto questo, il quinto, e poi a Testaccio nel primo – spiega col suo accento meridionale, ogni tanto sovrastato dal ronzio di un aspirapolvere o dall’abbaiare di un cane –. Le prime famiglie ci sono state segnalate proprio dai servizi sociali, poi c’è stato il passaparola. A breve inizieremo anche nel quarto municipio, anche se non siamo ancora riusciti ad avere un contatto diretto con le istituzioni. Da subito, però, abbiamo avuto l'appoggio dell'Arci e della Cgil. Lavoriamo in rete”.

Foto di Marco Merlini

Nonostante il nome, in effetti, Nonna Roma è ancora molto giovane, così come giovani sono i suoi volontari, tutti under 35. È un’associazione “mutualistica e non assistenziale” nata nel maggio 2017, come progetto interno al circolo Arci Sparwasser del Pigneto, un altro luogo smaccatamente pasoliniano. L’obiettivo era molto semplice: trovare il modo di dare una mano alle persone del quartiere che che vivono in condizioni di povertà. “Siamo partiti con la raccolta di derrate alimentari fuori dai supermercati, da distribuire poi alle famiglie bisognose. Questa attività ci ha però permesso di capire quali altri problemi hanno le persone, e in che modo intervenire”. Quindi Nonna Roma ha deciso di diversificare la propria azione. In vista dell’apertura delle scuole, ad esempio, proprio qui alla libreria Todomodo è iniziata per il terzo anno di fila "Di mano in mano", una raccolta di materiale scolastico in collaborazione con l’Unione degli studenti e l’Anpi di Villa Gordiani.

“Il banco alimentare ci ha permesso di capire i bisogni delle famiglie”

“Raccogliamo cancelleria che ci viene donata e la distribuiamo alle famiglie che ne hanno bisogno. Prendiamo anche in conto vendita i libri usati che rivendiamo a prezzi ribassati. Poi, a seconda di quanto abbiamo raccolto, chiediamo ai servizi sociali di segnalarci anche altre situazioni su cui intervenire”. “Perché l’accesso alla scuola – continua con lo stesso fiato Gabriele – dev’essere garantito a tutti”. Poi c’è il progetto "Matita sospesa": “Stiamo mettendo in rete le cartolerie della zona. Come nella tradizione napoletana del caffè sospeso, quando una persona compra delle matite, delle penne o qualcos’altro, ne prende una in più e la lascia al commerciante. Dopo un po’, andiamo a ritirare tutto, e lo distribuiamo alle famiglie in difficoltà”.

 


Nella libreria Todomodo

Quest’anno la raccolta sta andando piuttosto bene. Lo dimostra una saletta di Todomodo, coi suoi scaffali traboccanti di matite, astucci, quaderni, manuali e goniometri. “Noi, in realtà, non abbiamo ancora una sede nostra – sorride ancora Gabriele –. Ci appoggiamo al circolo Sparwasser, alla sede della Lega Coop di zona e qui. Perché è un’attività commerciale sempre aperta. Ed è perfetta per avere un rapporto diretto con le persone, soprattutto con gli studenti. Il grande salone di Todomodo, in effetti, una volta a settimana diventa anche aula-studio per il doposcuola e l’aiuto-compiti per bambini e ragazzi dalla prima media alla quinta superiore. Mentre la cucina nel retrobottega viene utilizzata per "L’osteria dal buonista": “Mentre stavamo creando l'associazione, abbiamo partecipato a un bando per un progetto di reinserimento socio-lavorativo di soggetti svantaggiati. Abbiamo quindi fatto un corso di cucina e siamo partiti con un’attività di catering”. Si chiama "dal buonista", “perché facciamo cose buone. In ogni senso”. L’obiettivo, per novembre, è quello di prendere in gestione la cucina dello Sparwasser e aprire una vera e propria trattoria. Nel progetto sono coinvolti italiani e migranti, donne e uomini, giovani e anziani, eterosessuali, omosessuali e transgender.

CASA DOLCE CASA?
A dispetto di questa mole di attività, però, Nonna Roma è finita sotto i riflettori soprattutto per le sue battaglie per il diritto alla casa. “Sul tema dell'abitare si gioca una partita decisiva – spiega il presidente dell'associazione Alberto Campailla –, soprattutto per combattere il ‘barbonismo domestico’. È un fenomeno molto diffuso in città, e coinvolge persone che magari un'abitazione ce l'hanno, ma è malandata o priva dei servizi fondamentali. Tra coloro che abbiamo aiutato, ce n'erano poi molti con difficoltà legate agli sfratti. L'esperienza che ci ha avvicinato a questo tema è stata proprio quella di una famiglia che abbiamo difeso per sei mesi dallo sfratto, finché non è stata trovata una soluzione dignitosa”. Così i ragazzi di Nonna Roma si sono ritrovati a seguire situazioni come quella di Casal Bruciato. Era il maggio scorso quando alcune immagini provenienti dal quartiere dormitorio della periferia est di Roma avevano fatto scalpore. Una famiglia rom di 14 persone era stata scortata dalla polizia nella casa popolare che gli era stata assegnata, mentre tutt’intorno infuriavano gli insulti, gli spintoni e le minacce di stupro da parte dei militanti di Casa Pound. Quella famiglia era assistita proprio da Nonna Roma, che l’ha difesa da quel bailamme e poi l’ha anche aiutata a trovare i mobili per arredare l’appartamento. “Prima ce n'è stata anche un'altra, nella stessa situazione, ma con meno giornalisti, a Tor Vergata – racconta Failla –. Anche lì abbiamo dovuto fronteggiare i fascisti. E così ci siamo ritrovati a essere un punto di riferimento per altre realtà associative, anche più grandi. Perché noi siamo sempre in trincea, queste persone le incontriamo spesso, ne conosciamo tutte le difficoltà e le contraddizioni”.

“Queste persone le incontriamo spesso, ne conosciamo tutte le difficoltà e le contraddizioni”

Un paio di mesi dopo, a Roma è partita la stagione degli sgomberi degli stabili occupati. Il nuovo prefetto, Gerarda Pantalone, di concerto con l’allora ministro degli Interni Matteo Salvini, ha addirittura stilato un crono-programma di 23 evacuazioni di stabili occupati da portare a termine nel giro di un anno e mezzo. Il primo è stato quello, spettacolare e spettacolarizzato, di lunedì 15 luglio. Dopo circa dodici ore di proteste, manifestazioni e barricate, è stato sgomberato l’ex istituto agrario di via Cardinal Capranica, a Primavalle. Qui dal 2003 vivevano almeno 300 persone, con un’ottantina di minorenni che andavano a scuola nel quartiere. E c’era anche Ryan, il bambino che ha trascinato fuori con sé una pila di libri di testo e quaderni. La sua foto ha fatto il giro del mondo. E anche lì c’era Nonna Roma: “Grazie alla diffusione di quella fotografia, un'associazione di Bologna ha raccolto dei fondi per far studiare Ryan, e hanno chiesto a noi di gestire i 13 mila euro accumulati – racconta Gabriele Lambiase –. Noi ovviamente gli abbiamo spiegato che non si può fare una raccolta mirata a un solo bambino, quando in realtà ce ne sono decine nelle stesse condizioni. Quindi stiamo ragionando su come distribuire questi soldi a tutte le famiglie con minori sgomberate, perché ora sono sparpagliate in vari municipi e i ragazzi hanno perso i contatti con la scuola”.

UNA CITTÀ NELLA CITTÀ
Con la caduta del governo giallo-verde, il programma di sgomberi del prefetto Pantalone è stato sospeso. Ma il problema dell’emergenza abitativa resta, ed è enorme. Così come quello delle occupazioni, che a Roma sono ancora moltissime. “Tutte però risalgono a prima del 2013. Dopo i movimenti per la casa non hanno più occupato. Quindi parliamo di situazioni che hanno già sei anni o più di vita. È evidente, insomma, che gli sgomberi non sono una soluzione – ci spiega Enrico Puccini, architetto, già consulente di Roma Capitale sul tema delle politiche abitative per la giunta Marino –. Salvini ha voluto solo forzare la mano per farsi un po’ di propaganda. Molti di coloro che occupano, tra l'altro, sono già in lista per una casa popolare”.


La mappa degli immobili occupati, liberati e sgomberati a Roma dagli anni 90 ad oggi. Fonte: osservatoriocasaroma.com

Le cause della crisi degli alloggi, in effetti, a Roma come altrove, sono strutturali. Nelle case popolari romane abitano circa 200 mila persone, come in un grande capoluogo di provincia o in uno dei municipi della Capitale. Una città nella città. “I richiedenti in lista d'attesa, però, sono ben 12 mila – continua Puccini –. A questi vanno aggiunte 2 mila famiglie nelle occupazioni e 1.000 nuclei rom. Il problema è che si assegnano 500 alloggi l'anno, quindi per smaltire le liste attuali ci vorrebbero oltre venticinque anni”. Nel 2007 è stata anche messa in atto una sanatoria. La legge finanziaria della Regione Lazio ha infatti approvato la regolarizzazione degli occupanti di case popolari senza titolo. In questo modo è stata normalizzata la posizione di gran parte delle circa 10 mila famiglie romane residenti in un alloggio popolare, ma prive del titolo di assegnazione. “I canoni di locazione, però, li stabilisce la Regione e sono molto bassi. L'Ater (l’Azienda territoriale per l'edilizia residenziale pubblica), che dal 2002 dev’essere per legge in pareggio di bilancio, non ha i fondi necessari per agire sull’esistente. Se gli enti sono in deficit, si taglia sulla manutenzione”. Quindi le case vanno in malora, e perdono valore. “È un circolo vizioso, un meccanismo perverso fatto di leggi e contro-leggi, che ha creato una situazione di stallo”.

Foto di Marco Merlini
 
“È una grande questione sociale, che non va trasformata in un problema di ordine pubblico. Quindi gli sgomberi vanno bloccati, non sospesi. Bisogna ragionare su soluzioni definitive per le famiglie in maggiore disagio”. Ne è convinto Eugenio Ghignoni, segretario della Cgil di Roma e del Lazio. Il sindacato, in effetti, è da anni in prima linea nella battaglia per la casa a Roma. “Anche perché, salvo abusi che riguardano situazioni patologiche e residuali, siamo in presenza di migliaia di famiglie che hanno diritto alle abitazioni”, mentre “le grandi disuguaglianze di questa città sono proprio figlie della rendita e della speculazione edilizia”. La maggior parte di coloro che sono nelle occupazioni, tra l’altro, “non sono disoccupati, ma persone che hanno un lavoro povero”. Quindi non in condizioni di pagare un affitto o di accendere un mutuo, e nemmeno di fornire a una banca le garanzie necessarie per ottenere un prestito. “Per questo dobbiamo esser capaci, come sta facendo Nonna Roma con la nostra collaborazione, di sviluppare forme di nuovo mutualismo. Ma contemporaneamente dobbiamo lavorare per dare una risposta strutturale al lavoro povero”.

MIGRANTI, UN FALSO PROBLEMA
Come dimostrano i fatti di Casal Bruciato, inoltre, la questione della casa, a Roma come nel resto d’Italia, s’intreccia indissolubilmente con l’ondata xenofoba che sta attraversando il Paese. Gli episodi di razzismo stanno aumentando esponenzialmente, spesso collegati al tema delle assegnazioni delle abitazioni popolari. La risposta di molti Comuni e Regioni governate dal centro-destra è stata l’innalzamento dei requisiti per l’accesso, come l'obbligo di residenza da dieci anni. In realtà, i dati sugli stranieri nelle case popolari, raccontano una storia molto diversa. “La percentuale di migranti che vivono negli alloggi romani è minima – spiega ancora Puccini –. In media sono circa il 5 per cento”, in una città in cui la presenza di stranieri, secondo l’anagrafe capitolina, è del 13,4. Nelle nuove graduatorie, invece, la fetta dei richiedenti non italiani è aumentata esponenzialmente, e si attesta oggi tra il 30 e il 40 per cento. Il dato nazionale sembra in linea con queste cifre: “Attualmente in Italia c’è un 7 per cento di stranieri che risiedono nelle case popolari, sono il 32 nella fascia di povertà assoluta, e un 44 per cento nei bandi di assegnazione”.

“I migranti  negli alloggi popolari sono pochissimi,  circa il 5 per cento”

L’impatto delle migrazioni, insomma, si sta scaricando solo ora sul settore della casa. Uno dei motivi è anche la dimensione degli appartamenti. La legge regionale 2 del 2000 divide le graduatorie in 4 classi di di dimensioni: si va dai 45 metri quadri, che possono essere assegnati a una o due persone, fino ai 75 metri quadri per le famiglie composte da almeno 5 persone. “Il 41% degli alloggi disponibili, però, è di grandi dimensioni – spiega ancora Puccini –, mentre solo il 12% delle famiglie richiedenti è composta da 5 o più persone. E sono quasi tutti stranieri, visto che gli italiani i figli ormai non li fanno più”. Gli italiani sono perlopiù single anziani, che non possono accedere alle case più spaziose: “Questo sbilancia le assegnazioni, e agisce anche sulla percezione che i cittadini hanno del problema”. Frazionare gli appartamenti, però, costerebbe davvero troppo per le esangui casse dell'Ater.

UN WELFARE INTEGRATO
Su una cosa gli urbanisti, i sindacalisti e i volontari di Nonna Roma sembrano tutti concordi: l’emergenza abitativa è spesso la causa di molti dei problemi sociali che attanagliano la Capitale. “Ad esempio – racconta Puccini – nei quartieri di Roma c'è un rapporto diretto tra il numero di case popolari malandate e il numero dei reati. Nella migliore delle ipotesi si generano delle dinamiche distorsive. Perché la qualità dell'abitare determina la qualità della vita”. I quartieri con case in degrado e senza manutenzione “sono come buchi neri che trascinano con sé ogni cosa. È un problema di rigenerazione delle periferie, che si fa solo con politiche sociali integrate”. La soluzione, anche per Eugenio Ghignoni, sarebbe “creare un welfare di stampo moderno, che tenga insieme la questione dell'abitare con le altre questioni sociali, con tavoli integrati e una visione, un obiettivo e una strategia complessiva”. Insomma, “le forme di mutualismo vanno sostenute nell’immediato, ma non sono sostitutive della rivendicazione della Cgil per sconfiggere il lavoro povero, aumentare i salari e implementare il welfare e forme di inclusione per italiani e migranti”.


Foto di Marco Merlini 

In ogni caso, i volontari di Nonna Roma continuano nel loro impegno per aiutare i poveri e tentare di sensibilizzare la popolazione. “Noi osserviamo cosa vuol dire essere poveri oggi a Roma da diversi punti di vista, e proviamo a fare qualcosa. La nostra è un'azione continua, ma davvero molto faticosa”, dice ancora Campailla. Soprattutto in un contesto in cui la politica, sia a livello nazionale che a livello locale, pare aver deciso di creare ulteriori problemi a chi già vive in difficoltà. Con i decreti sicurezza, ad esempio, sono aumentati i problemi soprattutto per i migranti. “Noi, però, non guardiamo il passaporto di nessuno. Il nostro criterio è unico e semplice: diamo una mano a chi ne ha bisogno”, spiega Lambiase.

“Il nostro criterio è semplice: diamo una mano a chi ha bisogno”

Fuori dal salone della libreria Todomodo, il sole s’è alzato ancora, e adesso picchia forte. Il tram riprende a ondeggiare lento lungo lo stradone. Villa Gordiani s’allontana. Da queste parti, dai finestrini del 409, Pier Paolo Pasolini guardava “in fondo all'azzurro” le case del Prenestino. Case “qui piccole, muffite, di crosta bianca, là alte, quasi palazzi, isole color terra”, “sopra vuoti di strade infossate, non finite, nel fango, sterri abbandonati, e resti d'orti con le loro siepi”. Nel 2019, oltre il vetro sporco, c’è lo stesso azzurro, l’asfalto crepato, i distributori di benzina, qualche pino. E i palazzoni gialli e arancioni di largo Preneste, che oggi sembrano ancora più grossi del solito. Visto da qui, però, l’orizzonte non appare poi così fosco. “L'attività che facciamo è concreta, e le persone si possono spendere in un'azione a bassissimo tasso ideologico. L'unica ideologia è quella di essere solidali – conclude Alberto Campailla –. In molti si avvicinano alle nostre attività in punta di piedi, ma dopo un po' si sentono personalmente coinvolti. In loro si accende una speranza, soprattutto tra i più giovani. Il nostro è un percorso anche politico, ma di una politica fatta in forme diverse". “La Rivoluzione non è che un sentimento”, scriveva Pasolini.