Martedì 12 maggio la Giustizia italiana entra nella sua “fase 2” che dovrebbe durare fino al 31 luglio (termine fissato per la cessazione del periodo di “emergenza sanitaria”). Con una circolare, il ministero di Giustizia ha chiarito che questo sarà l'arco temporale “di graduale ripresa delle attività degli uffici giudiziari”, durante cui i capi degli uffici “dovranno adottare misure organizzative necessarie per consentire il rispetto delle indicazioni igienico-sanitarie fornite dall’autorità preposta e indicate dal Governo”.

Insomma, si riparte, ma con grande cautela. Soprattutto laddove l'emergenza sanitaria è ancora attuale, come ad esempio a Milano, il cui Tribunale, in condizioni di normalità, arriva ad ospitare qualcosa come 10mila persone al giorno, tra personale giudiziario, amministrativo, avvocati e utenza varia. E proprio con un giudice milanese, Ilio Mannucci Pacini, presidente della III sezione penale e della Corte d'Assise del Tribunale di Milano, cerchiamo di capire meglio cosa succederà.

“Credo che da martedì l'attività processuale non riprenderà in misura superiore al 15-20% - spiega il magistrato – Questo almeno per quanto riguarda Milano, perché penso che a livello nazionale la situazione sarà a macchia di leopardo, visto che spetterà ai dirigenti dei singoli uffici regolamentare il tutto. In ogni caso – continua Mannucci Pacini - si darà precedenza naturalmente alle udienze più urgenti, in primis quelle che riguardano gli imputati detenuti, e poi, in parte, potrà svolgersi quell'attività compatibile con le cautele sanitarie che sono imposte in tutti i luoghi aperti al pubblico”.

E qui c'è il primo profilo critico: chi dovrà assicurare il rispetto di queste cautele e, quindi, la sanificazione dei locali, l'utilizzo di dispositivi di protezione individuale, il rispetto delle distanze di sicurezza? “Non è facile capirlo – osserva ancora Mannucci Pacini – Credo che questo sarà un tema importante, perché, a differenza di quello che accade ad esempio in una grande azienda, il nostro datore di lavoro, che è il ministero di Giustizia, non ha un responsabile per la sicurezza dentro i tribunali”. Alcune funzioni, quindi, sono state delegate ai giudici, che nell'ambito dell'udienza dovrebbero garantire il rispetto delle misure sanitarie. “Il che però è discutibile – continua - perché certamente il giudice presiede l'udienza, ma come può al tempo stesso assicurarsi che gli avvocati non si avvicinino troppo e che i testimoni non stazionino nei corridoi formando assembramenti?”.

In aiuto del sistema può venire lo smart working, l'informatizzazione alla quale l'emergenza coronavirus ha impresso un'accelerazione impressionante. “È come se in due mesi avessimo fatto un salto di 10 anni – commenta ancora il giudice milanese – e io credo di poter dire, almeno per la mia esperienza, che il personale ha risposto in modo soddisfacente e anche gli strumenti tecnologici, compreso il processo da remoto, tanto criticato, soprattutto dagli avvocati, in realtà hanno sostanzialmente funzionato”. Certo, precisa subito Mannucci Pacini, non mancano difficoltà legate alle carenze infrastrutturali che l'Italia soffre, ma questo non è un problema che riguarda lo specifico del settore giustizia, quanto piuttosto il sistema-paese.

Ora, con l'avvio della Fase 2, c'è da capire quanto dell'esperienza maturata in questi due mesi sarà valorizzato: “Io penso, senza eccessi di retorica, che questa accelerazione che ci è stata imposta possa rappresentare una svolta, in particolare per il processo penale – conclude il giudice Mannucci Pacini – Trovo quindi incomprensibile il rifiuto aprioristico dell'uso degli strumenti tecnologici, in nome di una sacralità del processo che è tutta sulla carta, dato che, come tutti ammettono, in Italia il processo penale oggi non funziona. Credo che da oggi occorra invece ripartire per costruire un nuovo processo, altrettanto garantito, ma più efficiente”.

 

VEDI ANCHE
ge:kolumbus:rassegnacgil:34165