Tra le tante richieste che Confindustria ha inoltrato al governo, c’è anche quella relativa alla garanzia di liquidità per le imprese. Il sito di Confindustria riporta stralci di un’intervista rilasciata il 23 marzo al Corriere della Sera dal presidente Vincenzo Boccia, che dichiara: “Occorre salvaguardare però tutte quelle aziende che avranno fatturato prossimo allo zero: c’è bisogno di liquidità. Serve un Fondo di garanzia nazionale, ampliato anche a livello europeo, che ‘copra’ le imprese per il credito a breve in questa fase di transizione, da economia di guerra, con la possibilità di rendere questo debito di guerra in tempi lunghi, ossia 30 anni. È l’unico modo per evitare che alla fine di questa crisi le imprese non possano più aprire. E ci riferiamo a tutte le imprese italiane – grandi medie e piccole – e di tutti i settori”. È legata a questo allarme anche la richiesta avanzata dagli industriali in occasione dell’audizione al Senato del 25 marzo, ossia di “evitare che, in un momento di fortissima contrazione della liquidità, siano le imprese a dover far fronte alle anticipazioni per la corresponsione della cassa integrazione ai lavoratori”.

Ma le cose stanno veramente così? Al netto di situazioni specifiche di oggettiva difficoltà di singole aziende, esiste davvero un drammatico problema di liquidità delle imprese italiane? Per capire se l’allarme sia fondato o meno, abbiamo analizzato i bilanci delle imprese italiane con più di 50 dipendenti e abbiamo calcolato alcuni aggregati. I dati sono tratti dai bilanci del 2018, depositati presso le Camere di Commercio nel 2019. Si tratta dell’ultimo dato disponibile in quanto la maggior parte dei bilanci del 2019 non è ancora stata depositata, anche alla luce dell’ampliamento dei termini temporali disposto dal governo a fronte dell’emergenza Covid-19. 

COME È STRUTTURATO IL CALCOLO
Tra le imprese che hanno depositato il bilancio 2018, abbiamo ovviamente selezionato quelle che hanno esposto con completezza i dati di nostro interesse: quelli relativi agli Impieghi dello Stato Patrimoniale, e in particolare all’Attivo circolante. Sono state, quindi, quasi completamente escluse tutte le immobilizzazioni, materiali, immateriali e finanziarie (di queste ultime abbiamo recuperato solo alcune voci, cioè quelle relative a immobilizzazioni che possono essere smobilizzate in breve tempo). All’interno dell’Attivo circolante, abbiamo distinto le voci in diverse categorie in base al tempo di recupero, cioè la capacità di conversione degli impieghi in forma monetaria (entro/oltre l’esercizio). L’attivo circolante, infatti, si suddivide in attivo disponibile e realizzabile. Anche per gli impieghi convertibili in forma monetaria entro l’esercizio, quindi, è stata fatta un’ulteriore suddivisione tra quelli che costituiscono liquidità immediata e quelli che costituiscono liquidità differita. Le disponibilità liquide immediate sono costituite da depositi bancari, denaro in cassa, assegni. Sono definite ‘immediate’ perché possono essere utilizzate in qualsiasi momento, cioè sono immediatamente convertibili in denaro per qualsiasi impiego. Si tratta di denaro che le imprese hanno già, in banca o in cassa. Denaro, quindi, che può essere speso immediatamente. Le liquidità differite, per essere pienamente disponibili, devono attendere una determinata scadenza. In genere vengono suddivise tra disponibilità entro l’esercizio (12 mesi) e disponibilità oltre l’esercizio (oltre 12 mesi). Le prime sono quelle che ci interessano maggiormente. Sono costituite da crediti verso i clienti entro l’esercizio, crediti tributari entro l’esercizio, crediti per imposte anticipate entro l’esercizio, crediti verso altri entro l’esercizio. Poiché nei bilanci non sono evidenziati i fondi di rettifica (ad esempio i fondi di svalutazione crediti), è plausibile che queste voci siano state esposte al loro valore netto. Quindi l’approccio utilizzato in questo calcolo è prudenziale, in quanto sconta tali valori di rettifica. A queste voci abbiamo aggiunto anche ratei e risconti. Abbiamo altresì evidenziato, indicandoli in tabella come ‘altri crediti’, i crediti finanziari a breve verso controllate, collegate, controllanti e imprese sottoposte al controllo delle controllanti. A queste voci abbiamo aggiunto anche i crediti verso i soci (ovvero quelle parti di capitale sociale che i soci non hanno ancora versato e che possono essere richiamate) e le immobilizzazioni materiali destinate alla vendita. Non abbiamo posto in evidenza, all’interno dell’attivo circolante, i prodotti finiti, ovvero quelle merci già prodotte dall’azienda, in magazzino in attesa di realizzo mediante la loro vendita. Anche in questo caso, la decisione di escludere queste poste dell’attivo risponde all’esigenza di adottare un approccio prudenziale. 

I dati esposti nelle tabelle seguenti sono estremamente chiari. 

Se guardiamo alla manifattura, cioè al settore più interessato dalla conflittualità di questi giorni per ottenere la sospensione delle attività a tutela della salute, vediamo che la liquidità immediata è pari a oltre 58 miliardi. Se a essa aggiungiamo le altre disponibilità realizzabili entro l’esercizio raggiungiamo la cifra di oltre 207 miliardi di euro. Se sommiamo le disponibilità immediate e differite nonché gli altri crediti di tutti i settori, otteniamo la cifra di 528 miliardi di euro

Più nello specifico, guardando ai tre settori industriali maggiormente interessati dagli scioperi di questi giorni, le imprese metalmeccaniche (per intenderci quelle sindacalizzate dalla Fiom), possono contare su oltre 99 miliardi di disponibilità, quelle del settore chimico-tessile-gomma- plastica-energia (sindacalizzate Filctem), su oltre 112 miliardi; quelle del solo settore cartaio su oltre 7,8 miliardi. Guardando alla sola liquidità immediata, cioè i denari che le imprese potrebbero immediatamente spendere, le cifre sono ovviamente inferiori ma comunque consistenti: oltre 25 miliardi per la metalmeccanica, oltre 32 per le imprese sindacalizzate dalla Filctem, quasi 2 per il settore cartaio. A cui si aggiungono quasi 80 miliardi delle altre attività, per un totale di quasi 140 miliardi. Il mondo dell’impresa dispone quindi ampiamente di risorse, qualora volesse fare la sua parte sostenendo in maniera solidale le specifiche situazioni di difficoltà. Dottor Boccia, siamo propri sicuri che le imprese italiane versino in una situazione di liquidità talmente drammatica da dover chiedere altri soldi al governo?

Matteo Gaddi, Nadia Garbellini, Fondazione Claudio Sabattini