611 giovani detenuti nei minorili, di cui 27 ragazze: la crescita è stata del 54 per cento in due anni. 62.445 le persone rinchiuse negli istituti di pena, a fronte di una capienza di 51.280 posti: il tasso medio di affollamento è almeno del 133 per cento. Delle 189 carceri italiane, quelle non sovraffollate sono solo 36, mentre quelle con un tasso di affollamento uguale o superiore al 150 per cento sono 58: a marzo 2023 erano 39.

Numeri impressionanti

Sono i numeri impressionanti che emergono dall'ultimo rapporto “Senza respiro” dell'associazione Antigone, che fotografa lo stato dei penitenziari italiani, un sistema al collasso dove detenuti, operatori e istituzioni sono sempre più in affanno. Nel 2024 l’Osservatorio di Antigone ha visitato 95 istituti penitenziari per adulti e la maggior parte di quelli per minorenni in tutta Italia, da Bolzano ad Agrigento.

Sovraffollamento record

Il quadro emerso è drammatico. Sovraffollamento record, carenza di personale e delle strutture, mancanza di un supporto psicologico adeguato, tra i problemi principali evidenziati dal dossier, che denuncia: in trenta istituti c'erano celle in cui non erano garantiti tre metri quadri calpestabili per ogni persona, in 12 carceri le celle erano senza riscaldamento, in 43 senza acqua calda.

Ma il sovraffollamento non colpisce solo le carceri per adulti: per la prima volta interessa anche gli istituti penali per minorenni. “Frutto del decreto Caivano – spiega il report -, che ha fatto crescere enormemente i numeri, soprattutto dei ragazzi in custodia cautelare. Il 65 per cento dei minorenni è infatti recluso senza una condanna definitiva”.

Gli istituti per adulti più affollati al momento sono Milano San Vittore (220 per cento), seguito da Foggia (212 per cento) e Lucca (205 per cento): in tutti e tre i casi ci sono più del doppio delle persone che quelle carceri potrebbero e dovrebbero contenere. Negli ultimi due anni la popolazione detenuta è cresciuta di oltre 5 mila unità, mentre la capienza effettiva è diminuita di 900 posti.

Politiche securitarie

"Il rapporto di Antigone conferma le gravi e croniche criticità del sistema carcerario – commenta Daniela Barbaresi, segretaria confederale Cgil –, dove i detenuti sono costretti a vivere in condizioni disumane di sovraffollamento, degrado strutturale, spazi invivibili con precarie condizioni igienico-sanitarie, mancanza di attività trattamentali, di opportunità di lavoro e formazione. Tutto ciò mentre la politica securitaria del governo Meloni, espressione di un pericoloso populismo penale, è destinata ad aggravare ulteriormente con il decreto Sicurezza. Il sintomo più evidente delle criticità delle condizioni detentive è quello drammatico dei suicidi che nel 2024 ha raggiunto il numero più alto degli ultimi trent’anni: praticamente un suicidio ogni quattro giorni”.

Un nuovo carcere ogni due mesi

“Negli ultimi mesi ogni sessanta giorni sono entrate in carcere 300 persone in più – si legge nel rapporto di Antigone -. Dinanzi a questo, l’unica risposta dell’esecutivo passa da un piano per l’edilizia penitenziaria che, proprio per i numeri e per la loro crescita, non può essere in alcun modo la soluzione. Considerando che mediamente un istituto in Italia ospita 300 persone, ogni due mesi dovremmo aggiungere un nuovo carcere al piano di edilizia”.

E non andrà meglio neppure con i nuovi padiglioni prefabbricati in arrivo, che sono sovraffollati già da progetto, prevedendo poco più di 5 metri quadri a testa.

1.500 episodi di protesta

Non è un caso che nel 2024 si siano verificati circa 1.500 episodi di protesta collettiva non violenta nelle carceri, che hanno coinvolto almeno 6 mila detenuti. Si tratta generalmente di persone più fragili, con più problematiche e che si sanno fare meno la galera: tossicodipendenti, senza dimora, stranieri senza difesa legale, soggetti con problemi psichiatrici.

“Categorie che rappresentano anche la maggior parte di chi ha pene brevi – calcola il report -. Al momento il 51,2 per cento dei detenuti con condanna definitiva ha meno di tre anni da scontare, soglia che consente almeno teoricamente l’accesso a misure alternative. Più di 1.370 persone sono in carcere per pene inferiori a un anno”.

Attivismo penale e decreto sicurezza

Il dossier sottolinea come l’attivismo penale del governo ha un impatto diretto e drammatico sul carcere: “Con il decreto sicurezza, approvato ad aprile e in discussione in parlamento per la conversione in legge, è stato introdotto tra gli altri un nuovo reato che punisce anche le proteste pacifiche e non violente con pene più alte di quelle previste per i maltrattamenti in famiglia, escludendo le persone detenute anche dal possibile accesso alle misure alternative, come avviene invece per i reati di mafia e terrorismo”.

Le proposte

Per affrontare questa situazione, l’associazione ha avanzato tre proposte che si possono rendere immediatamente operative: un atto di clemenza per i detenuti con residuo pena inferiore ai due anni; provvedimenti collettivi di misura alternativa decisi dai consigli di disciplina per discutere grazie e altri provvedimenti per detenuti che abbiano meno di un anno; divieto di nuove carcerazioni, se non in casi eccezionali, se non vi è un posto regolamentare disponibile.

“Di fronte a tutto questo dobbiamo costruire una grande alleanza di tutti coloro che intendano muoversi nel solco dell'articolo 27 della Costituzione – afferma il presidente di Antigone Patrizio Gonnella -, a partire da università, associazioni, mondo delle professioni e sindacati. Il carcere non va trasformato in una trincea di guerra. Chi usa toni militareschi o guerrafondai per orientare e gestire la vita carceraria commette un gravissimo atto di insubordinazione costituzionale che renderà durissima la vita degli stessi poliziotti. È necessario che a partire dal linguaggio si ridefinisca un senso comune della pena e quanto meno non si metta mai in discussione la necessità di tutelare sempre la dignità di tutte le persone private della libertà”.

Basta inasprimento delle pene

“Sin dal suo insediamento il governo Meloni ha intrapreso la strada dell’aumento delle fattispecie di reato e dell’inasprimento delle pene – conclude Barbaresi -: un paradigma repressivo e regressivo, che ci riporta all’idea arcaica di pene come vendette. Occorre intervenire rapidamente per perseguire concretamente la finalità rieducativa e di recupero che la pena deve avere, nel rispetto della dignità umana e dei valori costituzionali”.