Nel 1962 scade il contratto nazionale dei metalmeccanici. 

Ai primi di luglio Fiom, Fim e Uilm proclamano uno sciopero di tre giorni con inizio il 7, ma la Uilm ed il sindacato padronale Sida firmano un accordo separato con la Fiat ritirando l’adesione allo sciopero che non si ferma. 

La mattina del 7 la protesta coinvolge i maggiori stabilimenti industriali di Torino ed a partire dal primo pomeriggio alcune centinaia di operai si concentrano in Piazza Statuto dove si svolgono violenti scontri fra dimostranti e forze dell’ordine. 

L’8 luglio la tensione diminuisce, ma gli scontri riprendono nella mattina del 9 estendendosi anche alle zone vicine. 

Il bilancio totale sarà di 1.215 fermati, 90 arrestati e rinviati a giudizio per direttissima, un centinaio di denunciati a piede libero, varie centinaia di feriti fra le forze dell’ordine e fra i manifestanti.

“Nel 1962 - ricorderà tempo dopo Diego Novelli - ero il responsabile della redazione piemontese de l’Unità. In quell’estate i lavoratori della Fiat avevano ripreso a scioperare. Si trattava di una grande novità. Ricordavamo l’ultima manifestazione operaia, nel 1955. Poi più niente. “Il ghiaccio è rotto” dicevano gli operai. La Fiat volle fare un’operazione delle sue, facendo firmare al volo la Uilm e il sindacato giallo. Fiom e Fim si opposero. Ma successe qualche cosa di imprevisto. La notizia della firma venne fuori il sabato, 7 luglio. Mi telefonarono al mattino avvertendomi che da Stura, la fabbrica Fiat vicino all’imbocco dell’autostrada per Milano, gli operai erano usciti e stavano andando in centro. Raggiunsi il corteo, che scese in corso Giulio Cesare, a porta Palazzo poi in piazza Statuto dove c’era la sede della Uil. Volò qualche sasso, ci fu un po’ di confusione, ma nulla di straordinario. Nel pomeriggio la situazione cambiò, perché insieme agli operai arrivarono anche altri soggetti. C’era tanta gente incazzata che non c’entrava niente con la Fiat, giovani, immigrati, anche personaggi malavitosi. Gli scontri diventarono violentissimi. Sergio Garavini e Giancarlo Pajetta vennero presi a sassate mentre erano sotto una pensilina. Verso sera il brigadiere Rizzo della squadra mobile, fratello di un compagno segretario della federazione di Avellino, vide gli arrestati e suggerì di portarli alla buon costume invece che alla squadra politica. Poi con Pajetta andiamo a cena alla birreria Mazzini. Pajetta tira su un calzone ed era tutto sporco di sangue, era stato ferito a una gamba. Domenica sembra tutto liscio, ma mi arriva una telefonata dalla questura. La telefonata è da parte del dottor Passone, capo della squadra politica, che mi dice di informare il mio direttore che all’indomani sarebbero ripresi i disordini. Ma la questura cercava un altro Novelli, mio cugino Piero, che stava alla Gazzetta del Popolo ed era corrispondente del quotidiano di Roma di destra Il Tempo. Mi feci l’idea che la protesta era stata infiltrata e strumentalizzata, c’era una grossa provocazione in atto e arrivo (...) Il centro città venne messo in stato d’assedio. La rivolta venne spenta con la forza, la repressione fu durissima e le condanne molto pesanti perché allora la magistratura torinese era molto sensibile alla Fiat. La Fiat chiamava e il giudice si alzava. Però la rivolta di piazza Statuto preparò l’autunno operaio, mise in discussione le scelte di Valletta che per anni aveva obbedito agli americani contrastando i comunisti e la Cgil, con i reparti confino, le schedature, i licenziamenti. La novità? La vecchia classe operaia aveva fatto una trasfusione di sangue, erano i giovani, i contadini, i braccianti sfruttati alla catena di montaggio, che affittavano un letto a ore per dormire. Nel Pci discutemmo a lungo, ci dividemmo su quella rivolta. Ma la città stava mutando e nel 1963 ci fu il primo successo elettorale dei comunisti a Torino”.

Sicuramente in Piazza sono presenti elementi infiltrati, ma altrettanto significativa è la presenza di giovani meridionali immigrati, non integrati, scarsamente sindacalizzati e sfruttati come manodopera dequalificata. 

Radiografia di una Piazza nella quale si rintracciano molti degli elementi che caratterizzeranno le  future lotte sindacali del ’68-69.