Il conto alla rovescia è già iniziato e va avanti inesorabile. Il 5 dicembre, ovvero fra meno di un mese, scatterà l'embargo sul petrolio russo e, di conseguenza, il gruppo petrolchimico Isab Lukoil di Priolo si fermerà, mettendo nei guai tutto il polo industriale siciliano e i suoi oltre diecimila lavoratori che gravitano attorno, fra dipendenti diretti (1.100), indotto (quasi 3.000 unità) e area portuale (altri 7.000 addetti). 

La svizzera Litasco, società che controlla la raffineria, avendo bloccato il fido da parte delle banche, è obbligata a lavorare al 100% solo greggio russo. Di fatto, la situazione appare di stallo totale, con tutte le conseguenze negative che questo comporta, pur non essendo la proprietà degli stabilimenti siracusani direttamente sottoposta alle misure restrittive adottate dall'Unione europea. La tensione è destinata a salire e se qualcosa non cambia, a breve, l'ordine di fornitura di greggio, che sta partendo proprio in questi giorni, sarà dunque l'ultimo per l'impianto siracusano. 

L'allarme dei sindacati

Da tempo, le organizzazioni sindacali di categoria di Cgil, Cisl e Uil hanno lanciato l'allarme. "Se chiude la Lukoil, è un disastro - avverte Fiorenzo Amato, segretario generale Filctem Siracusa -, perché non stiamo parlando di un semplice impianto industriale, ma di un asset strategico per il Mezzogiorno e per l'intero Paese, che copre da solo circa il 20% del fabbisogno annuale nazionale dei prodotti derivanti dal petrolio. A 'cascata', potrebbero subire danni anche le aziende che alla raffineria sono legate, come la Versalis del gruppo Eni per la produzione di materie plastiche. Ma un po' tutte le imprese del sistema dell'area industriale sono strettamente interconnesse fra di loro. Ragion per cui, se si ferma la raffineria, vanno automaticamente in tilt anche tutti gli altri impianti del territorio. L'intero comparto ne subirebbe un colpo mortale, con riflessi negativi per tutta l'Italia". 

Per sollecitare un immediato intervento del Governo sulla delicata questione, le federazioni di Cgil, Cisl e Uil hanno proclamato uno sciopero generale di tutta la provincia di Siracusa per il 18 novembre. In quella giornata, si fermeranno per otto ore i lavoratori di tutte le categorie industriali, quali elettrici, metalmeccanici, chimici, addetti dei trasporti, delle costruzioni e dei servizi. Sempre in quell'occasione, verrà organizzato un corteo, a partire dalle 9, che arriverà nel cuore della città, in piazza Archimede, a Ortigia, davanti alla sede della Prefettura locale. "L'assenza di politiche industriali certe, da parte dei governi nazionali e regionali, accrescono il disorientamento del sistema delle imprese, dei lavoratori e dell'intera nostra comunità", spiega ancora Amato.

Falcinelli: il governo batta un colpo

Su tutta la vicenda, è intervenuto in prima persona Marco Falcinelli, segretario generale della Filctem Cgil. “La Lukoil deve mantenere la sua attività a Priolo e, se necessario, il governo, come aveva dichiarato nell’incontro con le organizzazioni sindacali nell'agosto scorso, si impegni a fornire, attraverso la Sace (la società per azioni del ministero dell'Economia, specializzata nel settore assicurativo e finanziario, ndr), le necessarie garanzie finanziarie affinché l’azienda possa approvvigionarsi sui mercati, invece di continuare a dipendere dal petrolio russo. Sollecitiamo il nuovo esecutivo a una nostra riconvocazione al più presto, a sostegno della quale abbiamo organizzato assieme alle organizzazioni siciliane lo sciopero del 18 novembre”. 

“La cosiddetta comfort letter del governo – prosegue il dirigente sindacale -, che abbiamo visto pubblicata dal ministero, non è un elemento che tranquillizza circa il futuro: non c’è il tempo per aspettare che le banche ritornino a ripristinare le linee di credito, anche perché se avessero avuto tale intenzione, non saremmo arrivati a questa situazione. La raffineria Isab, che fa capo a Lukoil, produce un terzo del ‘raffinato’ soprattutto per il Sud del nostro Paese, oltre a prodotti intermedi vitali per le attività petrolchimiche italiane. L'eventuale fermo delle attività, anche temporanee, del ‘condominio industriale’ di Priolo, produrrebbe un danno incalcolabile alla nostra industria, oltre che a generare una crisi sociale e occupazionale di enorme portata”.

Lo "scudo" dov'è?

A poco, finora, sono servite le dichiarazioni rassicuranti del neoministro delle Imprese e del made in Italy, Adolfo Urso, che aveva ipotizzato proprio l'intervento della Sace, che dovrebbe fare 'da scudo' alla Lukoil da parte dello Stato italiano, dopo che già, per iniziativa dell'onorevole Stefania Prestigiacomo, era stato approvato, nel luglio scorso, un emendamento dalla Commissione Finanze della Camera, che stanziava un miliardo e 300 milioni a favore della Lukoil, con garanzia della Sace alle banche, da destinare proprio al salvataggio della raffineria di Priolo. "Ma poi, scaduti i quaranta giorni dall'approvazione del provvedimento e successivamente con le dimissioni del governo Draghi, non se n'è fatto più niente", precisa Amato.

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Così come non convincono possibili soluzioni alternative, come acquisizioni o investimenti da parte di società o gruppi imprenditoriali pronti a rilevare la produzione. "Nei mesi scorsi, si vociferava di una manifestazione d'interesse sulla Lukoil da parte della Cross bridge energie, una finanziaria americana, specializzata nel traghettare le società dell'oil verso la sostenibilità ambientale, che poi, però, è scomparsa nel nulla. Ipotesi che, in ogni caso, non ci trovava d'accordo, preferendo sempre, in caso di avvicendamento societario, un'impresa del settore petrolifero", sostiene Amato.  

"Noi pensiamo che una soluzione auspicabile sarebbe quella di far ottenere, con il governo a far da garante, un'adeguata linea di credito alla Lukoil per l'acquisto di petrolio non russo, da comprare ad esempio dalla Libia o da altri paesi del Mediterraneo. In alternativa, si potrebbe pensare di arrivare a una deroga almeno parziale all'embargo del greggio russo della durata di un anno. In ogni caso, una soluzione va trovata al più presto per salvare il gruppo. Anche perché, già da oggi, con la programmazione a tre mesi in vigore alla Lukoil, si paventa il pericolo di uno stop alla produzione, che diventerebbe ancora più lungo in caso di acquisto di greggio da società al di fuori del Mediterraneo", conclude Amato.