I superpoliziotti condannati per le violenze alla scuola Diaz e alla caserma Bolzaneto durante il G8 di Genova non hanno mai pagato le spese legali alle parti civili, cioè ai ragazzi pestati. E forse non le pagheranno mai. Chi da due anni denuncia questa stortura, invece, è stato licenziato. É quanto emerge da una complessa vicenda che coinvolge Equitalia giustizia (l’ente che per conto del ministero della Giustizia è tenuto a riscuotere le spese di giustizia per le condanne passate in giudicato), il suo ex responsabile legale, il ministero dell’Interno, il Tribunale del lavoro di Roma e, ora, anche la Procura della Repubblica.

Errori e impugnazioni
Tutto ha avuto inizio il 5 luglio del 2012, quando la Cassazione confermò le condanne per i 25 accusati coinvolti a vario titolo nelle violenze e nelle torture perpetrate a Genova durante il G8 del 2001. Sono i fatti che Amnesty International definì come “la più grave sospensione dei diritti democratici in un paese occidentale dopo la seconda guerra mondiale”. Oltre a scontare la pena, però, i condannati avevano l’obbligo di ripagare anche le spese legali alle parti civili. Soldi che nel frattempo sono stati anticipati dal ministero della Giustizia, come da legge. Il ministero ha poi affidato a Equitalia giustizia il compito di riprenderseli. E qui nascono i problemi. Perché nelle cartelle esattoriali emesse c’era un “errore di quantificazione”, che ha permesso ai condannati di impugnarle, quindi di ottenerne l’annullamento o la sospensione. E non pagare nulla di quanto dovuto.

L’errore commesso da Equitalia giustizia, secondo quanto emerge dalle pronunce dei giudici e dalle verifiche normative successive, è tecnico: l’ente ha calcolato gli importi in via solidale invece che pro-quota, come prevede il Codice di procedura penale (art. 535), riformato dalla legge 69 del 2009. A confermare questa tesi, ci sono anche una nota del ministero della Giustizia del luglio 2009 e una circolare dello stesso ministero del 2015. Le cartelle emesse nel 2017, quindi, l’anno dopo cominciano a essere impugnate una dopo l’altra. A partire da quelle recapitate all'ex dirigente dell'Ucigos (Ufficio centrale per le investigazioni generali e per le operazioni speciali) Giovanni Luperi, che nel 2010 era stato condannato a tre anni e otto mesi di reclusione. Il 9 ottobre 2018, il giudice Stefania Salmoria del Tribunale ordinario di Firenze annulla le sue tre cartelle. E Luperi non paga nulla.

Effetto domino
Equitalia giustizia, però, che ci fosse un problema lo sapeva già dal 16 gennaio 2017. Lo testimonia una comunicazione inviata in quella data agli uffici di viale Tor Marancia dal ministero della Giustizia, l’ente creditore. Nel testo, tra l’altro, si legge: “Sicuramente Equitalia, essendo suo campo di competenza, potrà fornire i chiarimenti necessari”. E si fa anche riferimento alla futura, possibile prescrizione: “In mancanza di una norma specifica, il termine di prescrizione del diritto a riscuotere le spese processuali è quello ordinario”, “vale a dire 10 anni dalla data in cui la sentenza è divenuta irrevocabile”.

“Quelle del processo Luperi, però, non sono le uniche cartelle impugnate dai condannati per il G8. Da allora fino al marzo 2019, erano ben 41, cui fecero seguito 25 provvedimenti giurisdizionali - raccontava l’avvocato Francesco Cento, dirigente di Equitalia giustizia dal 2008, che all’epoca di questi fatti era proprio a capo dell’Ufficio legale e contenzioso -. Di queste, 6 sono annullamenti, 11 sospensive cautelari che anticipano la decisione” e prima o poi verranno portate in decisione. I restanti 8 giudizi “sono invece stati definiti per ‘cessata materia del contendere’, in ragione dell’avvenuto pagamento delle cartelle impugnate”. Le cartelle sono state infatti notificate anche al ministero dell'Interno, che ha pagato quanto già sborsato da quello della Giustizia. “Si è generato così un cortocircuito per cui lo Stato rimborsa se stesso”. Anche queste pronunce sono state impugnate dai condannati, “in modo tale che il ministero dell’Interno non possa rivalersi sui condannati stessi neanche in futuro. Per i soli fatti della Diaz l’importo del mancato rimborso è di oltre un milione di euro. Ma dal marzo 2019 ad oggi è plausibile che le pronunce siano cresciute, comprendendo altri ‘filoni’ della sentenza della Corte d’Appello di Genova. Il danno per lo Stato, quindi, potrebbe lievitare, fino ad arrivare a diversi milioni di euro”.

Campanelli d'allarme
Un errore grave, dunque. Ma a cui era possibile porre rimedio sin da subito. L’ufficio legale allora guidato dall’avvocato Cento, già il 18 ottobre 2018, lo fece notare alla sua azienda con una comunicazione nella quale le deliberazioni che riguardavano Luperi venivano definite “sentenze pilota”, cioè in grado di creare un pericoloso precedente. Così come poi è successo. “Ho segnalato i rischi che correva l’azienda anche direttamente al cda, perché mi veniva richiesto quale responsabile dell’Ufficio legale e contenzioso. Il ruolo m’imponeva anche di valutare le evidenze risultanti dell’analisi del contenzioso e definire e indicare proposte di intervento. É una procedura standard. Chiedevo quindi di annullare le cartelle e riquantificarle. Anche perché non avrebbe comportato alcun costo aggiuntivo o rischi di sorta per il credito. Quella situazione avvantaggiava unicamente i condannati, e andava a svantaggio dello Stato”.

Seguivano fitte comunicazioni, tutte protocollate, tra l’ufficio legale e gli altri dipartimenti di Equitalia giustizia, in cui veniva citata anche l’Avvocatura dello Stato. La questione però, non trovò uno sbocco, nemmeno nei due anni successivi. Anni in cui Cento venne invece sottoposto da Equitalia giustizia ad “un ulteriore audit (ispezione dell’azienda ndr), il quarto in tre anni”, per verificare eventuali errori commessi durante lo svolgimento della sua attività. “Nei 10 anni precedenti avevo subito un solo audit di processo, per migliorare alcune procedure”, ci racconta.

Il tempo intanto passa, e sulle cartelle esattoriali dei condannati per i fatti del G8 di Genova continua ad aleggiare lo spettro della prescrizione. La storia, tra l’altro, arriva anche sulla stampa, con un articolo dell’edizione genovese della Repubblica e sul Fatto quotidiano. E da lì in Parlamento, con un’interrogazione in Senato ai ministri della Giustizia, dell'Economia e dell'Interno (atto n. 4-01202, del 5 febbraio 2019). A questa interrogazione seguirà poi l’atto di sindacato ispettivo del Senato (n. 4-03289 del 29 aprile 2020), a firma degli stessi senatori. Nel quale si legge: “Le giustificazioni addotte da Equitalia giustizia e trasmesse ai ministeri destinatari (...), al di là dell'artificiosa ricostruzione della vicenda dal punto di vista tecnico, contengono l'indicazione di dati radicalmente sbagliati e valutazioni errate”. L’ente, insomma, negherebbe che ci sia stato un errore.

Abbiamo contattato Equitalia giustizia per avere un commento. L’azienda risponde di aver “fornito, per quanto di competenza, le proprie osservazioni al ministero della Giustizia, dalle quali risulta il corretto e legittimo operato della società, in conformità formale e sostanziale con il dispositivo delle sottostanti sentenze”. E poi ci informa che “eventuali ulteriori richieste dovranno essere indirizzate preferibilmente all’ufficio stampa del Ministero”.

Licenziamento e reintegra
L’avvocato Cento, intanto, insiste nella sua battaglia: “Visto che non riuscivo a trovare una soluzione all’interno dell’azienda, ho segnalato il tutto all’Autorità nazionale anti-corruzione (5 dicembre 2019), alla Procura della Repubblica di Roma (30 gennaio 2020) e alla procura regionale della Corte dei conti (2 marzo 2020)”. E da quel momento le cose iniziano a precipitare: “In un convulso susseguirsi di riunioni e comunicazioni, senza mai chiamarmi a riferire al cda, sono stato licenziato, a causa di un nome di troppo in una lista di avvocati pubblicata sul sito dell’azienda. Era il 7 aprile, in pieno lockdown nazionale, il giorno della tumulazione di mia madre”.

Dopo qualche tempo, il 16 luglio, Cento presenta ricorso al giudice del lavoro di Roma, che il 9 ottobre lo reintegra, annulla il licenziamento e condanna Equitalia giustizia al risarcimento del danno che gli ha arrecato. Nella sentenza del giudice Donatella Casari, tra le altre cose, si legge: “Appare evidente come le indicate denunce alle autorità di controllo operate dal Cento fossero idonee ad infastidire i vertici aziendali e ciò a prescindere dalla fondatezza o meno dell’addebito”. E ancora: “Emerge evidente come tale tipo di segnalazione possa essere inviso a chi di tali manchevolezze, a torto o a ragione, viene accusato”. “Il giudice, insomma, ha qualificato il licenziamento come ritorsivo - prede atto Cento -, perché le segnalazioni infastidivano l’azienda”, indipendentemente dalla loro fondatezza.

Prescrizioni e indagini
Nel merito delle denunce e dei fatti che correlano, seppure in via indiretta, Equitalia giustizia ai fatti di Genova è invece entrata la Procura di Roma. Come emerge dai documenti pubblicati sul sito dell’ente, il 28 luglio scorso la Guardia di finanza ha fatto il suo ingresso negli uffici di Roma, in Viale Tor Marancia. Da quanto risulta, la Procura ha infatti cominciato a indagare, tra l’altro, per omissione di atti d’ufficio. Il pm titolare del fascicolo è Rosalia Affinito e su suo mandato i finanzieri hanno richiesto proprio la documentazione relativa alle cartelle esattoriali emesse per i crediti di giustizia relativi al G8. Il giudice vuole vederci chiaro. E capire se ci siano stati ritardi o altri motivi per cui non siano state emesse nuove cartelle. Il tutto in vista della prescrizione, che arriverà nel luglio 2022.

I tempi, in realtà, sono molto stretti. “Di solito l’Agenzia delle entrate ha fino a 9 mesi di tempo per la cartellazione dalla trasmissione del ruolo. In questo caso bisogna annullare tutte le cartelle, chiudere i contenziosi pendenti, rimborsare il ministero dell’Interno, riaprire le partite di credito e riquantificare, poi riscrivere al ruolo e notificare le cartelle giuste. Ci vorrà, salvo percorsi privilegiati, almeno un anno e mezzo”. Se non si risolve il problema entro gennaio, insomma, c’è il rischio molto concreto che i soggetti coinvolti e condannati non paghino mai quanto dovuto. E che per lo Stato il danno milionario resti tale.

Intanto l’avvocato Cento, reintegrato al lavoro, è ora in smart working: “Non ho messo più piede in azienda dal 7 aprile. Non mi hanno nemmeno attivato gli strumenti per connettermi alle mail di struttura, quindi non ho rapporti ufficiali con i miei stimati collaboratori. In sostanza, mi tengono giustamente a casa, ma impossibilitato a svolgere il mio lavoro”. “Tutto quello che ho fatto, l’ho fatto per la giustizia, per senso dello Stato e per la tutela della sua immagine - conclude -, specie in un momento di difficoltà sociali ed economiche come questo”.