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E così anche la Spagna, pur con certo ritardo, si è attivata per far fronte alla diffusione del contagio da Coronavirus. Quando infatti, lunedì scorso, si è visto che le persone contagiate erano passate in una settimana da cento a mille e che le vittime mortali erano più che raddoppiate in tre giorni, il governo spagnolo, di concerto con quelli delle comunità autonome, ha iniziato a correre ai ripari. Attivando al principio poche misure efficaci e alcune altre inutili, come la chiusura dei voli diretti dall’Italia alla Spagna che ha solo complicato il rientro di italiani in Italia (e di spagnoli in Spagna), sostenuti dal consolato e dall’ambasciata alla ricerca di mezzi di viaggio alternativi. E senza dare a conoscere, né dal ministero della Sanità né dal dipartimento Salute della Generalitat catalana, il numero dei tamponi fin qui eseguiti sulla popolazione a rischio. Per poi continuare, col passare delle ore, in un crescendo di interventi destinato a non fermarsi, perché finora le misure prese sono risultate del tutto insufficienti a frenare il ritmo di propagazione del contagio che sarebbe superiore a quello italiano.
Fino alla dichiarazione di questo venerdì, in cui il presidente del governo spagnolo Pedro Sánchez ha annunciato che sabato verrà applicato in Spagna lo stato di allarme, previsto dalla Costituzione in caso di epidemia sanitaria, che permette al governo di limitare i movimenti delle persone, senza alterarne i diritti fondamentali. I contagi sono infatti passati in soli quattro giorni da 1000 a oltre 4200 e in appena 48 ore i morti sono diventati 120, da 47 che erano. Le Comunità autonome più colpite sono quella di Madrid, dei Paesi Baschi, della Catalogna e della Rioja. E si prevede che, la prossima settimana, i contagi superino i 10.000.
È cambiato anche il linguaggio dei politici e della stampa, si parla sempre di più di “rallentare i ritmi di vita”, di rimanere il più possibile a casa, si invita alla responsabilità individuale come una delle condizioni per decelerare la crescita del contagio. La Generalitat catalana confina, a partire da oggi, circa 70 mila persone abitanti di quattro paesi nella provincia di Barcellona, per circoscrivere il focolaio di contagi nella cittadina di Igualada. I teatri chiudono temporaneamente i battenti, sospese le serie A e B di calcio e tutti gli eventi sportivi e culturali, le aziende si organizzano per il telelavoro, si vietano gli assembramenti eccessivamente moltitudinari. Si chiudono scuole e università nella Comunità di Madrid, in Galizia, Murcia, Paesi Baschi e finalmente anche in Catalogna, dopo che all’inizio della settimana si era registrato un contagio in un istituto scolastico. Con alcune contraddizioni, laddove in Catalogna le riunioni proibite sono solo quelle sopra i mille partecipanti, o quando si permette a migliaia di tifosi dell’Atlético Madrid di andare a Liverpool per la partita di Champions. Il Coronavirus si sta diffondendo nel Congresso dei deputati: infettati il segretario e il presidente di Vox, Javier Ortega Smith e Santiago Abascal e l’ex presidente della Camera, la popolare Ana Pastor; contagiate la ministra di Politica territoriale, la socialista Carolina Darias, e la ministra d’Eguaglianza ed esponente di Podemos del governo spagnolo Irene Montero, obbligando il suo compagno e vicepresidente del governo Pablo Iglesias a mettersi in quarantena; in quarantena preventiva anche la sindaca di Barcellona Ada Colau, per un caso di Coronavirus nel Comune della capitale catalana.
Il presidente Pedro Sánchez ha illustrato i criteri su cui si basa l’azione del governo per affrontare la crisi: affidamento della direzione tecnica agli esperti, monitoraggio continuo della situazione per adottare decisioni proporzionali in ogni momento, massimo coordinamento con le comunità autonome e trasparenza informativa. Per una risposta che interessi il piano sanitario e quello economico. E il governo ha approvato due decreti legge: il primo, relativo all’introduzione di una nuova prestazione di sicurezza sociale per i lavoratori colpiti dal Coronavirus, che assimila questa condizione a quella di un incidente sul lavoro, pari al 75 per cento del salario (100 per cento il primo giorno); il secondo, per impegnare 18 miliardi e 225 milioni di euro a sostegno del sistema sanitario gestito dalle comunità autonome, le famiglie e le imprese colpite dall’epidemia. I sindacati Ccoo e Ugt e le confederazioni spagnole delle imprese hanno accordato una posizione comune per chiedere al governo risorse straordinarie per finanziare un’indennità da riconoscersi alle persone e alle imprese, con l’obiettivo di proteggere l’occupazione e l’attività economica. Fondi aggiuntivi che non andranno conteggiati per determinare i parametri di stabilità.
La sanità pubblica spagnola si fonda su un criterio universalistico e una gestione a livello delle comunità autonome. Presenta livelli di eccellenza, in Catalogna ad esempio nella ricerca sulla genetica e contro il cancro. Ma la crisi economica ha ridotto gli investimenti, i livelli di assistenza e il numero di addetti del settore che sarebbe diminuito di oltre 18 mila unità nei soli primi due mesi di quest’anno. E il problema che si aggiunge con la crisi di Coronavirus è il contagio tra medici e infermieri, che in Euskadi ha interessato un centinaio di lavoratori e oltre trenta a Igualada, in Catalogna.