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La Commissione Von der Leyen ha proposto un nuovo bilancio dell’Unione europea per il periodo 2028-2034 che prevede 131 miliardi destinati a difesa e spazio. È un salto senza precedenti: cinque volte più dell’attuale settennato, che si ferma a 27 miliardi. A spiegarlo è stato il commissario al bilancio Piotr Serafin, illustrando l’intenzione di rafforzare l’industria militare europea in nome della “sovranità strategica”. Ma il conto, come spesso accade, rischia di ricadere in gran parte sugli Stati membri. E l’Italia si troverebbe a pagare un prezzo molto alto.
Quanto ci costerebbe?
La media della quota italiana al bilancio Ue negli ultimi anni si è attestata sul 12,8 per cento. Applicando questa percentuale ai 131 miliardi proposti, il contributo italiano sarebbe pari a circa 16,8 miliardi in sette anni, ovvero 2,4 miliardi l’anno. Per confronto, oggi spendiamo circa mezzo miliardo all’anno in questo capitolo. Il salto è notevole: 13,3 miliardi in più rispetto all’attuale periodo di bilancio.
Mil€x, l’osservatorio italiano sulle spese militari, sottolinea da tempo che questi versamenti vanno considerati parte integrante della nostra spesa militare, anche se indiretti. E già nel 2025 stimava una quota di mezzo miliardo legata ai fondi europei.
Difesa e spazio: due facce della stessa medaglia
Nella proposta Von der Leyen, le voci “difesa” e “spazio” vengono fuse in un unico fondo. Non è una scelta neutra. I progetti spaziali come Iris 2 o Govstacom sono pensati esplicitamente per usi militari, mentre altri come Galileo o Copernicus, pur dichiarati dual-use, rispondono in larga parte a esigenze strategiche.
Oggi la suddivisione è circa 45 per cento alla difesa e 55 allo spazio. Se questa proporzione restasse invariata, l’Italia contribuirebbe con oltre 7,5 miliardi alla sola componente militare, cioè più di un miliardo all’anno. Rispetto agli attuali livelli, significherebbe sborsare circa 850 milioni in più ogni anno per armamenti, mobilità militare e produzione di munizioni.
Decisioni senza dibattito
La portata economica di queste scelte è tale da sollevare interrogativi politici che restano senza risposta. Chi ha stabilito che questa dovesse essere la priorità? Chi ha valutato se convenga davvero investire miliardi in strumenti militari invece che in scuola, sanità o lavoro? Nessun cittadino europeo è stato chiamato a esprimersi su questo cambio di rotta. Nessun Parlamento nazionale ha discusso nel merito. La logica della sicurezza militare si impone come automatismo, mentre ogni euro destinato agli armamenti è un euro sottratto a diritti e servizi.
La spesa che non fa rumore
Nel 2023, la spesa militare globale ha raggiunto 2.443 miliardi di dollari, secondo il Sipri. L’Italia, tra contributi diretti e indiretti, si sta allineando a questa traiettoria espansiva. E la proposta della Commissione europea rischia di rendere strutturale un incremento che oggi è ancora sottotraccia. Ma la spesa militare non è neutra. È una scelta politica, con effetti concreti sulla vita delle persone. Va discussa, confrontata, resa visibile. Perché la difesa, se non è dei diritti, diventa solo una spesa. E molto salata.