Alla fine l’onda rossa che avrebbe dovuto travolgere gli Stati Uniti e la presidenza di Joe Biden non c’è stata. I democratici hanno tenuto: anche se di un soffio mantengono la maggioranza del Senato e nella corsa per la Camera, gli ultimi dati aggiornati concedono ai repubblicani un vantaggio di pochi seggi. Alessia Gasparini ha pubblicato pochi giorni fa con Left  il libro “This is (not) America” e cura con Eric Gad il podcast The Union, anche quello dedicato alla politica e alla cultura statunitensi, a lei abbiamo chiesto di commentare i risultati delle elezioni di midterm e le possibili conseguenze del voto.

Cosa ha permesso ai dem di tenere e impedito a Trump di sfondare durante le elezioni di midterm dell’8 novembre scorso?
Sicuramente Trump ha pagato il fatto di essere Trump nel senso che la deriva presa dall’ex presidente che ha estremizzato ulteriormente le proprie posizioni già radicali ha finito per allontanarlo dall’elettore conservatore repubblicano medio che se poteva essere propenso a votarlo in segno di protesta nel 2016 adesso non si sente rassicurato o comunque rappresentato dal trumpismo. Per quanto riguarda i democratici, la storia insegna che, generalmente, alle elezioni di mid-term, il partito del presidente va male tranne in rarissimi casi come avvenne, per esempio, con Bush jr. nel 2002 quando lo shock dell’11 settembre era ancora fortissimo. Questa volta sembrava che i democratici dovessero essere travolti dalla cosiddetta onda rossa, invece, grazie anche a una serie di circostanze – il miglioramento delle condizioni dell’economia, dell’occupazione, alcune scelte del presidente Biden nonché la decisione della Corte Suprema di rovesciare la sentenza sull’aborto Roe vs. Wade – hanno influenzato l’esito della campagna elettorale permettendo la tenuta dei dem.

Tre temi: lavoro, diritti civili, guerra. Quanto hanno pesato sui risultati che stiamo commentando?
Per quanto riguarda la politica estera possiamo dire che continua a non essere un tema che appassiona gli elettori americani. È passata alla storia la frase che caratterizzò la campagna elettorale di Bill Clinton nel 1992: “It’s the economy, stupid!” che, in tempi di recessione, servì a focalizzare l’attenzione sull’economia mentre il presidente Bush sr., interrogato sul prezzo di una bottiglia di latte, non sapeva neppure rispondere. Questo a riprova del fatto che le questioni che ricadono fuori dai confini nazionali sono poco rilevanti per l’elettorato statunitense, tanto più nelle elezioni di mid-term. Che in questo momento i dati economici degli Stati Uniti siano in risalita ha giocato sicuramente a favore di Biden. Per quanto riguarda, invece, il tema dei diritti civili e, in particolare, in questa occasione, del diritto all’aborto possiamo dire che è una questione molto generazionale. Se, infatti, l’economia è sempre l’argomento che mobilita gli statunitensi che vanno alle urne, tra i ragazzi e le ragazze della Generazione Z il tema del diritto all’aborto ha rappresentato una motivazione ancora più potente.

Quali possono essere, invece, le conseguenze sulla politica estera degli Stati Uniti? Nello specifico, rispetto al conflitto in Ucraina, e alle relazioni sino-americane?
L’incontro tra Xi Jinping e Joe Biden di oggi (14 novembre) a Bali è importantissimo anche perché è il primo che c’è in persona dall’inizio del Covid tra i due presidenti. La linea degli Stati Uniti rispetto alla Cina è quella di cercare di mantenere in equilibrio i rapporti perché le due economie sono interdipendenti.

E quel volo di Nancy Pelosi a Taiwan?
Nancy Pelosi ha agito in autonomia, da speaker del Congresso, anzi dirò di più proprio per ribadire al presidente che il Congresso ha la sua autonomia e che su alcune tematiche è il Congresso che dovrebbe decidere e non solo il presidente.

E sull’Ucraina, dopo questo risultato sostanzialmente favorevole a Biden, ci saranno cambiamenti?
Per quanto riguarda la guerra in Ucraina, anche se può sembrare strano, i democratici sono più interventisti dei repubblicani che, per tradizione conservatrice, tendono all’isolazionismo e oggi registrano anche alcune posizioni filo-putiniane e vorrebbero un disimpegno da parte degli Stati Uniti. In ogni caso, non basta vincere alla Camera per ribaltare la situazione. Diciamo che se ci fosse stata l’onda rossa alcune cose sarebbe cambiate dal punto di vista del potere contrattuale del presidente Biden e dei democratici, adesso, in attesa di conoscere i risultati definiti della Camera e della Georgia, ci troviamo in una situazione di stallo sì, ma non così grave. Dal 2016 la lezione che abbiamo imparato un po’ tutti noi che seguiamo gli Stati Uniti è che fare previsioni è difficile e rischioso perché la politica americana sta cambiando, non è più quella del Novecento e a volte prende direzioni inaspettate. Quindi, per ora, Biden regge, la linea dovrebbe continuare a essere quella tenuta fino ad adesso anche se su alcuni temi dovrà scendere a compromessi con i repubblicani.