Dare voce al dissenso russo pubblicando in italiano e in russo i testi degli intellettuali di qual paese, accogliere studenti e studentesse ucraini che scappano dalla guerra offrendo borse di studio e alloggi. Borse di studio da offrire anche a ragazzi e ragazze russe che erano già in Italia e a cui sono stati tolti i finanziamenti dal loro paese. E poi aprirsi alla ricerca e alla docenza di professori che arrivano dai due paesi in guerra. Questo è molto altro è quello che ci racconta Tomaso Montanari, rettore dell’Università per stranieri di Siena, che ritiene compito dell’accademia quello di costruire ponti e pensiero critico. Insomma: gesti di pace quotidiani.

Da un mese l’Università per stranieri di Siena è divenuto luogo d'incontro tra russi e ucraini. Cosa state facendo?
Innanzitutto, stiamo dando voce, voce a chi apparentemente in queste settimane sembra silente, ma non lo è affatto. Stiamo provando a mettere al centro dell'attenzione la resistenza intellettuale russa contro la guerra di Putin. Sembra che non esista e invece c’è. Nonostante la repressione violenta imposta da Putin e dal sistema che lui ancora controlla saldamente, ci sono moltissime persone che parlano. A noi interessano soprattutto gli intellettuali, devo dire ancora di più le intellettuali, le scrittrici, le autrici. Sul sito dell’Università abbiamo aperto una sezione che si chiama Voci contro la guerra in cui pubblichiamo in russo e in italiano i testi che ci arrivano grazie a rapporti personali delle nostre docenti con amici e colleghi russi o attraverso i social.

Perché pubblicare anche in russo?
Li mettiamo anche in russo perché spesso invece in Russia testi di questo tipo vengono rimossi. È dunque importante che da noi siano in italiano per gli italiani, ma in russo per i russi e per i russofoni. Pensiamo sia importante far conoscere agli italiani la produzione culturale di quel paese, e non solo perché Dostoevskij non c’entra nulla con Putin. È importante aiutarli a far circolare le proprie idee nella propria lingua, fare quello che dovrebbe fare sempre l'università, cioè creare ponti, creare dialoghi, colloqui, luoghi terzi, luoghi franchi. E devo dire, dal mio punto di vista, anche insegnare a disertare le guerre in tutti i modi possibili e immaginabili, da quelli letterali e quelli culturali, una insubordinazione alla guerra, diciamo con le categorie e gli strumenti propri dell’accademia.

Ma non tutta la produzione culturale russa di questi giorni è contro la guerra...
Il nostro lavoro è passato anche attraverso la traduzione di documenti terribili come quello dei lettori russi che sostengono il governo Putin: tradurli e contrastarli ma, nello stesso tempo, dire che però questo non giustifica la rottura di rapporti con l'Università russa perché l'università non sono i lettori esattamente come la Russia non è Putin. Insomma, stiamo provando ad articolare un discorso complesso che è esattamente quello che sembra non si possa fare in Italia perché altrimenti si è accusati di intelligenza col nemico. I testi che pubblichiamo contro Putin sono durissimi. Non c'è nessun tentennamento, ma c’è la complessità del mondo. Teniamo molto a questo lavoro perché ha proprio a che fare con la missione di mediazione di un’università a statuto speciale che lavora sulle lingue, sugli stranieri, sul concetto di straniero contro ogni nazionalismo.

Oltre al compito di diffusione della produzione culturale, vi è un’attività più direttamente, legata a studenti e docenti.
Innanzitutto aiutiamo i nostri studenti che erano in Russia e che purtroppo sono dovuti rientrare. C’è poi l'assistenza ai nostri studenti e studentesse ucraini e russi in Italia, che hanno difficoltà diverse ma alla fine simili per altre ragioni: hanno visto interrotti flussi di finanziamento, hanno grossi problemi di ogni tipo e noi li aiutiamo anche economicamente. Anche ai russi che sono rimasti tagliati fuori dalle borse dello Stato russo, i soldi glieli diamo noi, non hanno nessuna colpa. Tra l'altro sono tutti pacifisti, tutti fieramente avversari del governo. Sia chiaro, nessuno chiede loro una "certificazione" di questa posizione, perché crediamo sarebbe una forma di maccartismo, la richiesta gravissima di una abiura. Pensiamo che sia nostro dovere aiutarli a sopravvivere qua. Lavoriamo anche per accogliere chi viene da fuori, sia come studenti (soprattutto gli ucraini), sia come rifugiati e che qui possono avere borse di studio, accoglienza per dormire e vitto offerti dall'azienda regionale del diritto allo studio. L’Università ha attivato un numero crescente di borse di studio. Ancora, abbiamo deciso di aprire per loro gratuitamente i corsi di italiano. L'insegnamento dell'italiano agli stranieri, d'altra parte, è una delle caratteristiche fondamentali della nostra Università. Conoscere la lingua è la via più importante per l'integrazione, ma anche per la minuta sopravvivenza.

Questo per quanto riguarda gli studenti. E invece, per i docenti?
Nella prossima riunione del Senato accademico proporrò di rendere più semplice la possibilità di insegnamento annuale o triennale per docenti ucraini, ma anche russi, che scappano dal proprio paese, in modo da offrire loro la possibilità di continuare la propria attività di ricerca e di insegnamento, e di avere anche uno stipendio. Vorremmo anche inaugurare un insegnamento di lingua ucraina e poi vedremo se ci saranno le condizioni per attivare anche quelli di storia e cultura di quel paese. Anche con colleghe e colleghi russi in fuga ci sono stati contatti, che però per ovvie ragioni per ora non è il caso di esplicitare nel dettaglio.

E poi state mettendo in piedi un’attività più culturale, seminariale...
Si e aperta a tutti. Il 31 marzo Paolo Nori terrà da noi il seminario che non ha potuto svolgere alla Bicocca e che sarà trasmesso in streaming. Prima di quell’appuntamento, il 23 avremo tutta una giornata di seminari dedicati alla Russia, e che tra l'altro prevede la proiezione di Memorial, un documentario sui dissidenti da Stalin ad oggi. Putin nei giorni iniziali dell'invasione ha stroncato l’associazione che svolgeva questa attività di documentazione. Proietteremo questo film recentissimo in russo con i sottotitoli in italiano. Anche questo è un modo per far capire che in Russia c'è chi lotta dalla parte del dissenso, che poi è la parte che ci sta a cuore sempre ovunque. Verrà da noi a tenere delle lezioni Giovanni Santino, lo studioso italiano, professore di storia contemporanea all'Accademia presidenziale di Mosca, scappato dopo aver saputo che stava per essere arrestato per quello che aveva scritto contro la guerra. Terrà una serie di conferenze a Siena per raccontare che cosa è successo negli ultimi anni nella società russa.

Tutto questo mi pare un modo assai diverso di costruire la pace rispetto all’aumento delle spese militari...
L’aumento delle spese militari non prepara la pace, prepara la guerra. Se prepari la guerra, come si vede, alla fine la guerra arriva. Un paese che destina poche risorse a ricerca, istruzione e sanità mentre incrementa di molto, 12 miliardi circa, le spese militari, è un paese che sembra non avere voglia di futuro, un paese ripiegato su sé stesso. Del resto, questa è la cifra dei nostri governi e non ne voglio fare una questione soltanto generazionale. Abbiamo un esecutivo governato da maschi e anziani che hanno un'idea del mondo, nella migliore delle ipotesi, molto rivolta al passato. Persone disinteressate a tutto quello che riguarda il futuro, compresa la sostenibilità e la giustizia ambientale. In questo quadro, rientra la totale sottovalutazione della cultura, o forse – meglio e più cinicamente – una compressione del potenziale rivoluzionario di una cultura diffusa che proprio per questo viene osteggiata da sempre. Insomma, si ha l’impressione che non faccia per nulla comodo avere un paese di italiane e italiani più colti e più capaci di pensiero critico. Lo dico con grande tristezza, ma credo sia così. C'è una caccia alle streghe dei pacifisti, una caccia al pensiero critico, e si chiede soltanto uniformarsi alle parole d'ordine della guerra, rispondere alla guerra con la guerra e brindare ad ogni morto russo, pensando che il governo ucraino sia il più democratico dei governi. Io penso che la Russia vada fermata, che l'esercito russo vada fermato, che Putin sia un criminale. Però penso anche che il governo Zelensky sia pieno di problemi di democrazia e penso che la Nato abbia fatto molti errori, che l'Unione europea sia inesistente e che dobbiamo avere un pensiero articolato per prevenire la guerra. Virginia Woolf diceva che l'università servono a formare persone capaci di prevenire la guerra, noi invece siamo un paese che pensa di dover gestire la guerra.

Quale dovrebbe essere, allora, il ruolo della cultura in una vicenda come quella dell’aggressione della Russia all’Ucraina?
Innanzitutto, l'opposizione sistematica a ogni pensiero nazionalistico. La cultura è per sua definizione transnazionale, abbatte le frontiere, lega le identità nazionali non al sangue, non ai cannoni, non alle frontiere, ma alle parole, alle opere, e disegna un'identità meticcia che è l'unica che conta, quella umana. Questo è l'umanesimo. Questa è la cultura umanistica, la cultura degli esseri umani come tali, non degli italiani, non degli ucraini, non dei russi. Io non so immaginare la cultura occidentale di cui tanto si parla senza la cultura russa. E poi il pensiero critico, l'abitudine a giudicare non secondo la parte, ma secondo i fatti. George Orwell diceva che quando si comincia a giudicare l'atrocità dei fatti, non per quello che sono, ma a seconda di chi li compie, siamo totalmente divorati dal veleno nel nazionalismo ed è quello che sta succedendo.

Infine, abbiamo parlato dell'Italia, parliamo dell'Europa o dell'assenza dell'Europa
L'Europa manca, è mancata. La guerra è un frutto dell'assenza dell'Europa e l'idea che essa possa nascere con l'esercito mi pare un'idea debole. Prima dell'esercito ci vuole una politica estera, un progetto. Insomma, l'Ucraina doveva essere un paese come la Svizzera o un paese come la Polonia? Questo è uno dei punti essenziali: quale idea di Europa abbiamo" quale idea di democrazia europea?. Tutto questo non c'è stato e non si può cominciare dalle armi, anche se probabilmente un discorso sulla difesa europea andrà fatto, se vogliamo superare il modello della Nato che è sopravvissuta al crollo del muro di Berlino, cosa per me sbagliata. Dovevamo andare verso un suo superamento, con l'affermazione di una difesa che fosse ispirata ai valori delle democrazie europee che non sono esattamente quelli degli Stati Uniti. Così come gli interessi dell'Europa non solo quelli degli Stati Uniti.