In tutti i commenti sulla guerra in Ucraina e nei dibattiti sull'eventuale responsabilità dell'Occidente, pochi hanno citato i fattori sociali ed economici. Eppure il fenomeno Putin deve essere compreso come un nuovo tipo di sistema socio-economico prodotto da un mix di dipendenza dal petrolio e di fondamentalismo di mercato, in un contesto modellato dall'eredità zarista e comunista.

All'indomani della guerra fredda, entusiasti economisti occidentali si precipitarono in Europa orientale per smantellare le economie centralmente pianificate attraverso la riduzione dei bilanci statali, la privatizzazione delle imprese statali e la liberalizzazione del commercio e degli investimenti. Solo in una manciata di casi - principalmente in quei paesi dell'Europa orientale che hanno aderito all'Unione europea - queste riforme hanno portato a forme di capitalismo borghese. Altrove, e in vari gradi, hanno invece portato a una nuova forma di cleptocrazia autoritaria.

Ai tempi del comunismo il mercato era illegale, dunque ogni attività di mercato era considerata un crimine. Questo rendeva molto difficile distinguere tra lo scambio legittimo e il furto. La conseguenza delle riforme economiche fu la normalizzazione del furto da parte dello Stato. Attraverso la privatizzazione, i burocrati comunisti divennero oligarchi e iniziarono a competere per gli aiuti statali. La situazione fu aggravata da una crescente propensione alla rendita da parte dello Stato russo, conseguenza della dipendenza dal petrolio e dal gas; non c'era bisogno di un contratto sociale con i cittadini poiché le entrate dello Stato non dipendevano dalla tassazione. Qualcosa di molto simile è successo nell'Iraq di Saddam Hussein o nella Siria di Bashar al-Assad.

I regimi instaurati su questo tipo di cleptocrazia tendono a inquadrare le loro narrazioni in termini di nazionalismo etnico o di razzismo combinati con i "valori della famiglia" (misoginia e omofobia). Elementi di questo tipo di sistema possono essere riscontrati nell'Ungheria di Viktor Orbán, che dipende dai fondi dell'Unione europea, e persino nell'ascesa di Donald Trump e nella Brexit, proprio quando Stati Uniti e Regno Unito sono diventati più dipendenti dai prestiti e dalle entrate degli asset finanziari. La Russia, con le sue vaste entrate da petrolio e gas e la sua storia di burocrazia brutale, rappresenta una versione estrema.

Alex de Waal, un esperto di sviluppo internazionale della London School of Economics, parla di "mercato politico" - dove gli imprenditori politici competono per rubare dallo Stato -, una formula per spiegare la violenza persistente in alcune parti dell'Africa. Il mercato politico è una forma estrema di neoliberismo in cui la politica viene letteralmente ridotta a merce.

La cleptocrazia etnica o il capitalismo clientelare caratterizzano molte delle interminabili "guerre eterne" e dei conflitti cristallizzati in diverse parti del mondo. Sono guerre in cui le parti traggono vantaggio dalla violenza stessa, piuttosto che dalla vittoria o dalla sconfitta. La violenza genera entrate attraverso la contrattazione all'interno dello Stato e grazie a una serie di attività predatorie, mentre le posizioni etniche o razziste estremiste forniscono giustificazioni alla violenza stessa. È così che possiamo capire il potere continuo dei signori della guerra etnici in Bosnia, per esempio, o in Azerbaigian.

Molto spesso questi conflitti iniziano come conseguenza di pacifiche proteste pro-democrazia ma, quando alcuni gruppi passano alla violenza, tendono ad essere manipolati da imprenditori etnici. Per esempio, coloro che hanno scelto di prendere le armi per resistere agli assalti del regime in Siria sono stati finanziati da donatori sunniti del Golfo, mentre il regime dominato dagli alawiti ha deliberatamente preso di mira le aree sunnite, così che la violenza è stata sempre più inquadrata in termini di un conflitto sciita-sunnita.

Le azioni di Vladimir Putin sono inquadrate in termini di preoccupazione per l'espansione della Nato, nostalgia dell'impero sovietico e accuse al nazionalismo etnico ucraino. Ma è l'esperimento democratico ucraino a costituire la principale minaccia al regime cleptocratico repressivo che Putin presiede. Quando ha iniziato la guerra nel 2014, è stato per impedire un accordo di associazione dell'Ucraina con l'Ue che avrebbe potuto portare alla trasparenza e all'indebolimento della presa degli oligarchi. Forse l'obiettivo di Putin, ora, è di trasformare l'Ucraina in una "guerra per sempre", dove le milizie etnicizzate si impegnano nella violenza contro i civili sia per ragioni economiche (saccheggio, razzia, contrabbando e così via) che per ragioni politiche (generare polarizzazione etnica), come avviene nelle cosiddette "Repubbliche popolari" secessioniste di Donetsk e Luhansk.

Anche se la Russia riesce a prendere Kiev e a imporre un regime fantoccio, non sarà in grado di controllare il Paese. Ma così facendo potrebbe portare a una sorta di anarchia violenta a lungo termine che rappresenta un'alternativa alla democrazia. Dopo tutto, è quello che è successo dopo le invasioni americane dell'Iraq e dell'Afghanistan.

L'invasione potrebbe portare a una guerra tradizionale diffusa in tutta Europa? L'invasione stessa sembra suggerire che Putin non è più razionale. Se la resistenza crescerà e la reazione occidentale si intensificherà, Putin probabilmente userà sempre più forza letale, riducendo le città dell'Ucraina in macerie come ha fatto in Cecenia. Forse minaccerà persino di utilizzare armi nucleari. Questa prospettiva spaventosa non può essere scartata: i controlli e gli equilibri all'interno dello Stato russo sono stati smantellati. La speranza principale è che Putin venga fermato da una crescente opposizione interna, non solo nelle strade ma all'interno dell'establishment.

L'unica logica che si oppone a questo tipo di cleptocrazia etnicizzata è quella che potrebbe essere chiamata civicness. In tutte le zone di conflitto è possibile trovare medici e infermieri pronti a curare chiunque ne abbia bisogno a prescindere dalla sua etnia, insegnanti che prendono sul serio l'educazione inclusiva, giudici o funzionari pubblici onesti, vicini di casa che si aiutano a vicenda, e persino governi locali che cercano di fornire servizi pubblici senza discriminazione.

Quando i conflitti iniziano con proteste a favore della democrazia, la maggioranza dei manifestanti di solito si oppone al passaggio alla violenza, consapevole che l'opposizione non potrà mai competere con lo Stato sul piano militare. Quando inizia la guerra, alcuni se ne vanno, ma altri assumono un ruolo umanitario come primi soccorritori, o come mediatori locali, o documentando i crimini di guerra e così via. Il paradosso è che i cleptocrati non sopravviverebbero se non ci fosse un comportamento civico - non ci sarebbe più nessuno a cui rubare.

La coraggiosa resistenza ucraina e il movimento contro la guerra in Russia sono una reazione civica, non etnica, all'invasione. E la loro posizione civica ha un sostegno globale. Uno scenario alternativo è che la guerra in Ucraina segni un punto di svolta. Potrebbe essere il momento in cui il sistema finanziario globale inizi a controllare il "denaro oscuro", il denaro proveniente dai cleptocrati. O quando riconosceremo che porre fine alla dipendenza dal petrolio e dal gas non è solo un imperativo climatico, ma è necessario per affrontare i regimi canaglia. O quando ci renderemo conto che alle persone che fuggono dalla guerra deve essere offerto asilo, chiunque esse siano. Soprattutto, potrebbe essere il momento in cui cominciare a capire che non ci sono più "soluzioni militari" e che dobbiamo pensare a un sistema di sicurezza alternativo basato sui diritti umani.

Mary Kaldor, Professoressa di Global Governance e di Scienze politiche alla London School of Economics

La versione originale di questo articolo è stata pubblicata su Opendemocracy.net.

(traduzione a cura di Davide Orecchio)