Li chiamano “i Garanti”. Sono le Autorità amministrative indipendenti, il primo tentativo di introdurre nell’ordinamento italiano l’esperienza di organismi pubblici completamente indipendenti dal potere politico per regolare settori sensibili dell’economia, quali la concorrenza, le banche, l’intermediazione finanziaria, l’offerta di energia, i trasporti, gli appalti, le comunicazioni. E per garantire i diritti e le libertà delle persone quando nella cornice europea quelle persone diventano consumatori, utenti, elettori, donne e uomini che vogliono circolare liberamente nello spazio fisico, nel mercato del lavoro, nella sanità, nei centri della conoscenza e della ricerca e in quell’immenso calderone di informazioni personali che oggi si chiama web.

Li chiamano “i Garanti”. Diversi testi giuridici li hanno paragonati ai “Mandarini di Stato”, gli antichi funzionari dell’impero cinese, capaci di influenzare tutti i settori della vita della società fra autoritarismo, conoscenza e privilegi. Ma la realtà oggi, passati oltre trent’anni dal consolidarsi di questa esperienza nel panorama amministrativo italiano, è ben diversa. Le autorità indipendenti in Italia appaiono sempre più legate a quei centri di potere che avrebbero dovuto tenere a distanza: quella indipendenza, che ancora oggi risuona nelle relazioni parlamentari che annualmente i Garanti presentano alle istituzioni, è minacciata da una lenta erosione di competenze e di risorse, sistematicamente dirottate verso agenzie e altre istituzioni di nomina governativa, per definizione più attente e sensibili alle indicazioni dell’esecutivo di turno. E oggi, come sappiamo, è il turno della destra.

Restano i privilegi: è di circa venti anni fa la riforma che ha consentito ai componenti dei Collegi e delle Commissioni che costituiscono il centro decisionale delle autorità indipendenti di allungare il proprio mandato a sette anni, come quello del Presidente della Repubblica, e non è infrequente che tale mandato, con le guarentigie che porta con sé, venga prolungato in attesa delle nuove nomine.

Così, ad esempio, il Collegio del Garante per la protezione dei dati personali, il Garante della privacy, insediatosi nel giugno del 2012 è rimasto in carica, complice la pandemia, fino al secondo semestre del 2020. Oltre otto anni di governo di un’autorità centrale nella salvaguardia dei diritti della persona, nella libera circolazione dei dati personali e nella tutela delle libertà dei lavoratori, giacché l’ordinamento assegna, fra le altre, proprio al Garante della privacy, significative competenze per contrastare i fenomeni di controllo a distanza e di dossieraggio sistematico dei dipendenti pubblici e privati.

E parlando di erosione di competenze, non si può ignorare che proprio il Garante della privacy oggi subisce i più significativi ridimensionamenti, con la messa in discussione dei provvedimenti in materia di lavoro e il progetto per assegnare la regolazione del mondo dell’intelligenza artificiale a due agenzie governative.

Privilegi, competenze, lavoro, intelligenza artificiale. Sembrano argomenti buttati lì a caso, e invece alla fine tutto si tiene, e se da un lato un Collegio di lunga e stabile durata può decidere di adottare un provvedimento che impone alle imprese di cancellare i dati dei propri dipendenti, catturati durante l’utilizzo della posta elettronica aziendale, e poi di “congelarlo” al primo segno di insofferenza delle associazioni degli imprenditori; dall’altro lo “scippo” della regolazione dell’intelligenza artificiale, con gli impatti che la stessa può avere proprio nelle analisi massive e approfondite delle abitudini e delle attitudini dei lavoratori, riesce a passare sorprendentemente sotto silenzio, con l’unica voce di protesta levatasi dai sindacati interni del Garante, fra i quali la Cgil.

E forse è ancora vivo il ricordo di coloro che intendono trasferire la competenza dell’intelligenza artificiale all’agenzia governativa sulla cybersicurezza, delle parole che il Garante usò tre anni fa per bocciare il sistema Sari Real Time da parte del ministero dell’Interno: “Il sistema, oltre ad essere privo di una base giuridica che legittimi il trattamento automatizzato dei dati biometrici per il riconoscimento facciale a fini di sicurezza, realizzerebbe per come è progettato una forma di sorveglianza indiscriminata di massa”.

Oggi quel sussulto conosce la sua normalizzazione: non è un caso che le più incisive proteste provengano proprio dai dipendenti dell’Autorità, teatro di storture e incongruenze nell’organizzazione del lavoro che diventano giorno dopo giorno sempre più intollerabili.

Presso il Garante vi è infatti un nutrito gruppo di persone che lavorano in servizi assegnati a ditte esterne, anche per assicurare attività importanti come quelle del protocollo e il centralino, lavoratori “palleggiati” fra le diverse ditte assegnatarie e sub-assegnatarie degli appalti, ai quali è negato il diritto alla carriera e alla stabilità dell’occupazione, nonostante molti di essi siano in forza all’Autorità, in condizione di precarietà di fatto, da oltre venti anni.

Ma anche per i dipendenti di ruolo la situazione, seppur oggettivamente migliore rispetto a tante realtà dell’impiego pubblico e privato, non consente previsioni ottimistiche: la situazione dei carichi di lavoro, con diverse migliaia di reclami e segnalazioni che vengono assegnati mensilmente ad un organico di circa 150 dipendenti, l’assenza di una previdenza complementare (caso unico fra gli enti pubblici), la necessità di assicurare la presenza italiana negli organismi europei quale lavoro ordinario che si aggiunge a quello amministrativo quotidiano e per la quale non viene riconosciuto alcun incentivo. E poi l’arbitrarietà del sistema di progressione di carriera vincolato agli stanziamenti decisi unilateralmente dall’organo di vertice, la labile separazione fra funzioni istruttorie dell’Ufficio e funzioni decisorie del Collegio, la limitatissima indipendenza finanziaria, che si traduce in costante sottrazione di fondi e di risorse umane per paralizzare le attività istituzionali: sono alcuni dei problemi che, oltre a rendere sempre più complicata la vita dei lavoratori, possono determinare una compromissione del ruolo stesso dell’Autorità.

Perché un’autorità amministrativa indipendente può ritenersi tale non soltanto se l’indipendenza è garantita formalmente verso l’esterno, ma anche e soprattutto se dirigenti, funzionari, impiegati e tutti i lavoratori che compongono l’Ufficio possono svolgere le proprie attività, le istruttorie, le indagini, le analisi giuridiche con il medesimo grado di indipendenza, in particolare nei confronti di un Collegio che anno dopo anno del lungo settennato accresce il proprio potere interno.

Ed è proprio in capo ai lavoratori di queste autorità che grava oggi la responsabilità di un impegno sindacale che sappia mettere insieme le rivendicazioni interne con un rilancio del ruolo dei Garanti. Ne va dell’indipendenza delle autorità, ma soprattutto dei diritti e delle libertà dei cittadini.

Alessandro Bartolozzi è Rsa Fisac Cgil - Garante per il trattamento dei dati