PALERMO – Il governo Meloni sottrae alla Sicilia quasi 5 miliardi e l’esecutivo regionale di centrodestra, guidato dal forzista Renato Schifani, tace e acconsente. È la denuncia lanciata dalla Cgil siciliana che ha presentato oggi un dossier sugli scippi alla Sicilia, dal titolo Governo Meloni quanto ci costi. È il consuntivo di fine anno di una serie di tagli che impatteranno negativamente sul tessuto economico e sociale dell’Isola e insieme il preludio per la mobilitazione che il sindacato siciliano ritiene inevitabile e impellente.

Si preannuncia un replay del 7 ottobre in chiave siciliana “contro le politiche antimeridionaliste dell’esecutivo nazionale e contro l’inadeguata azione del governo regionale più impegnato a occupare spazi di potere che a tirare fuori la Sicilia dalle secche della crisi”, ha detto il segretario generale della Cgil Sicilia, Alfio Mannino, in conferenza stampa. Perché la Sicilia non sta affatto bene, “i principi della nostra Costituzione sono ampiamente disattesi - ha sottolineato - basti pensare ai diritti al lavoro e alla salute, e la situazione nel 2024 rischia di peggiorare, tanto da rendere necessario riprendere con la rete di associazioni, a cui facciamo appello, il percorso della Via maestra, per l’affermazione dei diritti sanciti dalla Carta fondamentale”.

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Tagli insostenibili

Il dossier della Cgil regionale fa un quadro desolante della situazione nell’Isola: indici di povertà e di disoccupazione elevati, infrastrutture e servizi carenti, settori fondamentali come la sanità in profonda crisi, gente che rinuncia a curarsi, famiglie che non arrivano a fine mese. “Il taglio di oltre 4,8 miliardi - ha rilevato Mannino - conferma che siamo in presenza di un governo che non guarda alla fragilità economica e sociale della Sicilia e del Mezzogiorno. Inoltre, se andrà in porto l’autonomia differenziata, la Sicilia perderà un ulteriore miliardo e mezzo l’anno, con ulteriori ricadute pesantissime su sanità, istruzione mobilità”.

Si arriva a oltre 4,8 miliardi con i tagli al Pnrr, pari a più di due miliardi e 400 milioni, in controtendenza con la situazione nazionale che vede invece, con la revisione approvata dal Consiglio europeo, crescere le risorse dell’1,73% (tre miliardi). A questi si sommano: la decurtazione del Fondo per lo sviluppo e la coesione per 1 miliardo e 400 milioni, destinati ab origine a infrastrutture, dissesto idrogeologico e a interventi di coesione sociale e dirottati invece a finanziare il ponte sullo Stretto; il taglio al reddito di cittadinanza che non farà arrivare nell’Isola 614 milioni; il mancato gettito fiscale pari a 150 milioni che lo Stato avrebbe dovuto trasferire alla Sicilia; i 150 milioni in un triennio come risarcimento dei costi dell’insularità, previsti dal Def di aprile e scomparsi nella Finanziaria.

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Un futuro peggiore del presente 

Per Mannino con le misure del governo “la Sicilia avrà meno servizi, meno risorse per affrontare le emergenze sociali, le infrastrutture interne resteranno carenti, ci sarà più povertà in una regione che oggi, a causa di disoccupazione e di lavoro povero, soffre particolarmente il peso dell’inflazione e che presumibilmente vedrà la situazione peggiorare nel 2024”.

Il sindacato ricorda nel dossier che “il reddito medio lordo disponibile in Sicilia è di 14.764 euro annui, tra i più bassi d’Italia ( la media nazionale  è 19.753 euro)” e che “la Sicilia è la seconda regione per bassa intensità di lavoro ( dato 2021): in molte famiglie cioè si lavora un numero di mesi inferiore a quello che si dovrebbe”. Il dossier fa anche il punto sulle carenze del sistema sanitario “ che il governo regionale non ha fatto niente per colmare”.

" Paradossalmente - ha detto Francesco Lucchesi, segretario confederale Cgil - la Sicilia mostra uno svantaggio anche per la minore produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili. Per non parlare dei trasporti con oltre il 37% delle famiglie che lamenta difficoltà di collegamento con i mezzi pubblici nelle zone di residenza”. E “mentre in Sicilia la percentuale di binari non elettrificati supera il 40%, le reti idriche sono un colabrodo e le altre infrastrutture non se la passano meglio - ha aggiunto Lucchesi - il governo taglia. Arriva pure a tagliare sulla riqualificazione dei beni confiscati alla mafia”.

La Cgil in campo con i siciliani

Quella del governo è quindi una narrazione fasulla e la realtà è ben diversa. “Di fatto - ha detto Mannino - la questione meridionale è scomparsa senza che la classe di governo della nostra regione abbia fatto e faccia sentire la sua voce a tutela della Sicilia e dei siciliani”. Un governo d’altronde che non ha fatto niente di concreto per lo sviluppo della Sicilia. E di fronte a questo “ i siciliani non possono più stare a guardare”.

Christian Ferrari, segretario confederale della Cgil nazionale, intervenendo da remoto alla conferenza stampa, ha rilevato “l’importanza del ruolo svolto dal sindacato rispetto a una giunta regionale che sta anteponendo agli interessi dei siciliani la fedeltà a uno schieramento politico nazionale”. Ferrari ha rilevato che di meridione oggi si ragiona solo in termini risarcitori e parallelamente si operano scelte che danneggiano questa parte del Paese.

“C’è un modello di sviluppo che deve cambiare per il Sud e per l’intero Paese. Sul Mezzogiorno si sta giocando un inaccettabile gioco delle tre carte. Per quanto riguarda il Pnrr, poi, va assicurato il vincolo del 40% per il Sud. Occorre poi garantire il carattere aggiuntivo delle altre risorse”, ha dichiarato il segretario, concludendo: “Se si vuole davvero qualcosa per il Mezzogiorno si cominci col ritirare il ddl Calderoli”.