La testimonianza di Elena Ferro, della segreteria della Cgil di Torino, che, nella mattina di domenica 11 maggio, data nella quale quest’anno si celebrava la Festa della Mamma, ha visitato la sezione femminile del carcere Lorusso Cutugno di Torino insieme a una delegazione di esponenti politici. Nel podcast di Collettiva il suo racconto in cui emerge quanto gli aspetti del decreto sicurezza rendano ancor più dura la condizione delle madri in carcere.
Riportiamo qui il racconto di Elena Ferro pubblicato sui social della Cgil di Torino.
Non ero mai stata in carcere, l’ho fatto stamane, insieme a una delegazione di parlamentari e consigliere regionali per rispondere all’appello della campagna ‘Madri fuori’. La Cgil contrasta in ogni modo il DL Sicurezza perché introduce nuovi reati senza costruire condizioni più favorevoli perché quei reati si riducano. Le donne che abbiano incontrato sono colpevoli di reati legati alla povertà e alla emarginazione. La maggioranza sono italiane, molte con problemi psichiatrici o di tossicodipendenza che il carcere non può che acuire. Ma non doveva essere un luogo di riabilitazione?
Alcune di loro lavorano, ma non siamo riuscite a conoscere il contratto che viene loro applicato. Non lo conoscono. Delle novità previste dal DL Sicurezza, la possibilità di tenere in carcere donne madri con i loro bambini, anche piccolissimi, è in questi casi la peggiore. Ma anche la sottrazione dei figli in caso di qualunque forma di protesta, anche non violenta. La soppressione del dissenso fuori e dentro il carcere, come denunciamo da tempo.
Il carcere è disumanizzante per gli adulti, immaginiamoci per bambini. Quasi l’80% delle detenute è madre, ma solo nel ricordo. A causa della loro condizione, quasi tutte hanno perso il diritto alla genitorialità. Non vedranno mai più i loro figli. Nell’Icam di Torino c’è una giovane madre, di 31 anni, con un bambino di 21 mesi che prova a fare una vita quasi normale, tra reclusione, facce sempre uguali, e sorveglianza a vista, anche se in borghese. L’Icam non è la soluzione. Lo chiede Jessica, 35 anni, mamma di quattro figli, dentro per truffa. Di tre figli ha già perso la genitorialità, dell’ultimo, 9 mesi, attende la sentenza il prossimo luglio. Lei che era ai domiciliari, dove ha partorito e chiesto il differimento della pena. Negato. È tornata in carcere. “Se mi stavo zitta ero ancora con mio figlio”, dice.
C'è un altro modo di tenere i legami tra madre e figli, anche quando le madri sbagliano? Le conseguenze, terribili, dei reati, possono ricadere sui bambini? Il carcere è un luogo in cui vengono confinate persone che delinquono ma anche le paure e l’incapacità di un governo di costruire soluzioni. Basta con lo stigma. Grazie a Madri Fuori per la vigilanza e la denuncia. Chiediamo che il DL Sicurezza venga fermato, modificato, secondo le norme di civiltà contenute nella Costituzione. Norme che dovrebbero prevedere dignità delle strutture e per chi dentro ci lavora. In quelle stanzette spesso non si può che attendere il fine pena, che non significa poter riabbracciare i figli, o la fine e basta. Madri e madri non più. Altro che festa della mamma.