Ritu, 12 anni, lavora come domestica dall’inizio del lockdown. Fino ad allora, lei e i suoi due fratelli andavano alla scuola pubblica in una baraccopoli della città di Davanagere, nello stato indiano del Karnataka. Anche se suo padre lavorava come spazzino, il cibo in casa è sempre stato scarso. Dopo il lockdown decretato dall’India dal 23 marzo le scuole sono state chiuse e il padre non ha potuto più lavorare. Già due giorni dopo la famiglia non aveva né soldi né provviste. Per andare avanti il padre di Ritu ha trovato un lavoro per sua figlia come domestica di una famiglia della classe media. Adesso la bambina lavora tutta la settimana e guadagna 1.000 rupie al mese, l’equivalente di circa 12 euro. Questo lavoro è illegale, sia a causa del coprifuoco, sia perché in India non si può lavorare fino all’età di 14 anni.

Ritu è una delle milioni di bambine e bambini nel mondo che la crisi economica conseguente l’emergenza Covid sta strappando dalla scuola e costringe a lavorare in condizioni di sfruttamento. E lo sfruttamento dei minori è in aumento a causa della pandemia. A cdertificarlo è la fondazione Terre des Hommes che ha lanciato l’allarme nella Giornata mondiale contro il lavoro minorile. Nei Paesi in via di sviluppo il destino di chi nasce è segnato drammaticamente se i genitori lavorano nel settore informale come venditori ambulanti, domestiche, spazzini, lavoratori edili o agricoli. Questi lavoratori superano in alcune zone il 95% degli occupati e, secondo i dati dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro, a maggio 2020 1 miliardo e 6 mila tra loro si sono trovati a reddito zero a causa del lockdown, con inevitabili ricadute sui minori. Ci sono poi i bambini di strada, gli orfani o abbandonati, i minori rifugiati, i migranti, i bambini che vivono in zone di conflitto e per loro, se possibile, i rischi sono sempre maggiori.

Ci sono poi le aggravanti di origine territoriale, che pesano da sempre su alcune aree del mondo. Le organizzazioni partner di Terre des Hommes, si legge in un documento della fondazione, "stanno osservando un aumento ben visibile del lavoro minorile in molti Paesi dell’Africa, dell’Asia e dell’America Latina. Nelle grandi città ci sono più bambini che chiedono l’elemosina, o vendono merce per strada. Nelle piantagioni i bambini in età scolare lavorano con i genitori. Nelle Filippine, con la perdita dei proventi dal turismo e la chiusura delle scuole, sono sempre di più i minori che si prostituiscono davanti alla webcam. L’Europol ha dichiarato che globalmente la domanda di pornografia infantile in rete è aumentata con l’inizio del lockdown”.

Non basta naturalmente la denuncia, servono proposte, motivo per il quale Paolo Ferrara, direttore generale di Terre des Hommes, interviene con quello che potrebbe essere un appello ai governi nazionali e alla comunità internazionale affermando che bisogna dare priorità ai bisogni dei bambini delle fasce di popolazione più svantaggiate nei programmi di aiuto per la pandemia, ma che oltre agli aiuti alle famiglie è fondamentale che si operi per “sostenere attivamente l’istruzione”. Alla riapertura delle scuole dovranno essere pronti programmi di recupero per evitare l’abbandono scolastico e che i bambini finiscano per lavorare.