Molti lavoratori di cinema e teatro si sono visti rifiutare il bonus di 6oo euro previsto dal decreto Cura Italia, perché non avevano i requisiti. Sono stati definiti “i furbetti dello spettacolo” con un’accezione che nascondeva, neanche troppo, l’accusa di aver voluto chiedere con l’inganno un’indennità cui non avevano diritto. La famosa domanda che da attori ci si sente fare spesso “sì ma di lavoro che fai” è molto più di un luogo comune: traduce l’equazione, basata su un pregiudizio, che a mancanza di fama corrisponda anche assenza di professionismo. Ma il nostro patrimonio dello spettacolo dal vivo e del cine-audiovisivo si regge sulle spalle di migliaia di bravissimi e poco noti artisti, che purtroppo, giornate contributive alla mano, non hanno potuto dimostrarlo. Il sindacato della Slc e la Cgil hanno chiesto di abbassare (se non azzerare) il requisito delle 30 giornate contributive che, secondo la bozza del nuovo decreto, dovrebbe scendere a 15. Il punto è spiegare con chiarezza che un mese di contributi, nel caso dello spettacolo, quasi mai corrisponde a un mese di lavoro.

Lo racconta Mauro Lamantia, attore diplomato al Piccolo Teatro di Milano, diversi spettacoli all’attivo con la compagnia “Idiot Savant”, cinema, pubblicità e anche un percorso da insegnante di teatro. Dopo tante occasioni di lavoro entusiasmanti “il 2019 è stato il primo grande anno oscuro – spiega Mauro- e i lavori in teatro son stati più radi. Uno di questi l'ho fatto tra settembre e ottobre, con un’importante accademia teatrale e un prestigioso teatro romano, per portare in scena alcuni saggi-spettacolo dei suoi allievi-registi. Il problema è che il teatro in questione lavora solo con professionisti e professioniste che abbiano la Partita IVA”. Mauro racconta che lo stesso spettacolo aveva debuttato l'anno prima come saggio d'accademia, ma con un cast all'interno del quale nessuno era un lavoratore autonomo. Soluzione? “Il regista ha dovuto sostituire tutto il cast pur di andare in scena, a seguito di un impegnativo periodo di prove non pagate e senza contratto”. L’accademia ha persino fornito i propri spazi per far provare gli attori nei giorni fuori contratto. “Paradosso dei paradossi, perché evidentemente non eravamo assicurati per quei giorni scoperti. Sì, certo, ho accettato anche io” ammette Mauro, forse con un po’ di rammarico, mentre si fa i conti: il contratto con partita iva e le giornate di prove in nero non valgono per il computo delle sue giornate contributive. A questa esperienza, si aggiunge quella di un laboratorio a Venezia, per la Biennale Teatro, occasione unica per studiare e andare incontro a nuove chance di lavoro, ma non retribuita. Per Mauro, il 2019 si chiude con un progetto di teatro classico e la proposta di un contratto che prevede “800 euro per un mese di prove e una sola replica. “Ci siamo opposti a un trattamento indecente e la produzione, per tutta risposta, ha annullato, senza possibilità di replica, l'ultimo lavoro che avrei potuto fare nel 2019”. Mauro rifa i conti: 7 giorni del lavoro con la famosa accademia; 7 giorni per una ripresa di uno spettacolo del Teatro Fontana che aveva già debuttato; 7 giorni col Piccolo Teatro per un altro lavoro; 1 giorno per le riprese del videoclip di un famoso cantautore. Totale: 22 giornate contribuite. Nonostante Mauro avesse lavorato più giorni per il videoclip, ai fini dei versamenti contributivi non valgono le prove e le ore lavorate, ma il numero di pose (una, nel suo caso). “Il mondo degli attori e delle attrici non è solo quello delle poche star che hanno avuto un percorso privilegiato, ma è quello stragrande maggioranza di colleghe e colleghi che combattono disperatamente perché non hanno un sistema di tutele che tenga conto di una situazione come la mia.

Per non parlare di chi insegna teatro”. Molti sono gli attori, i musicisti, i cantanti, i danzatori che fanno anche gli insegnanti e che, per questo, versano i contributi non all’ex Enpals ma alla gestione separata. Nemmeno loro hanno avuto accesso al bonus, pur avendo lavorato con continuità ed avendo perso il lavoro a causa della pandemia. Il sindacato denuncia che sono ancora troppe le categorie di lavoratori del settore che resteranno senza tutele. Ci sono gli sceneggiatori, che in violazione della legge non ottengono sempre il pagamento dei contributi all’Enpals e che, quindi, pur essendo iscritti, non riescono a maturare le giornate. Gli autori che si fermano per scrivere le opere non pagano i contributi, ma stanno lavorando alla produzione di opere. Dal bonus sono esclusi anche i pensionati, per altro in un settore in cui moltissimi assegni mensili non superano la soglia dei 700 euro. Senza dimenticare gli artisti e i tecnici che hanno lavorato all'estero in paesi non convenzionati. Ma la vera piaga che affligge il settore dello spettacolo è il lavoro nero, che rende questi professionisti invisibili, fragili, ricattabili. In questa condizione di disagio si trovano anche gli artisti e i tecnici che hanno avuto un calo di attività normale in questi mestieri, o che si sono ammalati, o hanno avuto un infortunio che li ha bloccati, impedendone la ripresa dell’attività. Si pensi alle attrici che decidono di avere un figlio. Oltre a doversi fermare per motivi strettamente legati alla fisicità dei ruoli, nella grande maggioranza dei casi non hanno alcun diritto al congedo di maternità. Risultato: per avere un figlio un’attrice deve smettere di lavorare, rinunciare a qualsiasi forma di reddito e di contribuzione, restare fuori dal giro per un paio di anni (quando va bene).

“Conosco molte donne che nel 2019 hanno investito su se stesse, che già faticano a trovare una scrittura per una disuguaglianza dei ruoli che ci portiamo dietro da secoli, come faranno? Magari hanno studiato per anni nelle migliori scuole, versato centinaia di contributi in 10 anni, e solo perché nel 2019 hanno lavorato meno saranno tagliate fuori”. A parlare, in maniera accorata, è Gennaro Apicella, attore professionista uscito dallo Stabile di Genova. “In tutti questi anni ho avuto una certa continuità lavorativa e contributiva. Ho versato in media ogni anno contributi che superano abbondantemente il requisito delle 30 giornate”. Poi nel 2019 per Gennaro i ritmi lavorativi hanno subito un rallentamento, “ma non è proprio per il fatto di aver lavorato di meno, di essere più fragili, che dovremmo essere protetti?” Anche Gennaro pensa poi all’audiovisivo, dove spesso non si superano le quindici, trenta pose all’anno, “perché nel mondo della tv e del cinema la media contributiva si abbassa, mentre il valore numerico del singolo  contributo cresce,  per via della paga giornaliera più alta”. Gennaro, come Mauro e tanti altri colleghi, sente di aver pagato le conseguenze di un meccanismo ingiusto e di un sistema iniquo, “in cui non si tiene conto del lavoro e dello studio che, per un attore, continua negli anni. Con questo criterio, si rischia di sostenere esclusivamente gli attori scritturati nel 2019, lasciando indietro dietro un esercito di condannati".