Sono ormai due anni che la giornalista della Rai Ilaria Alpi sta seguendo la missione di pace Restore Hope. Ilaria e Miran Hrovatin stanno lavorando a un’inchiesta su un presunto traffico di armi e rifiuti tossici in cui sarebbe coinvolta l’Italia. Il 20 marzo 1994 sono di ritorno da Bosaso, città nel Nord del Paese, dove hanno appena intervistato Abdullah Moussa Bogor che ha raccontato loro della società di pesca italosomala Shifco - sospettata di traffico di armi - e di una nave, la Faraax Omar, appena rapita dai miliziani.

All’incrocio tra via Alto Giuba e corso Somalia, non lontano dall’hotel Amana, la loro auto viene fermata da un commando che apre il fuoco e uccide la giornalista e l’operatore. Un delitto ancora oggi avvolto da una fitta cortina di mistero, pieno di domande, interrogativi, intrighi, misteri e depistaggi.

“L’uccisione di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin lacera profondamente, a 25 anni di distanza, la coscienza civile del nostro Paese e suona drammatico monito del prezzo che si può pagare nel servire la causa della libertà di informazione - diceva in occasione del 25° anniversario dell’assassinio il presidente della Repubblica Sergio Mattarella - In questo triste anniversario rivolgo un pensiero di solidarietà alle famiglie dei due giornalisti, insigniti della Medaglia d’oro al Merito Civile della Repubblica italiana. L’impegno dei familiari contro le reticenze e i depistaggi, dopo l’immenso dolore subito, ha meritato e merita grande rispetto e rappresenta un dovere della Repubblica (…) I nomi di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin sono accanto a quelli dei tanti che, in Italia e nel mondo, sono divenuti bersaglio di vendette, vittime di criminali ritorsioni, di crudeli esecuzioni finalizzate a reprimere la autonomia delle persone, a intimidire chi cerca notizie scomode, a imbavagliare il diritto alla verità”.

Quel diritto alla verità per il quale non smetterà mail di lottare fino alla fine dei suoi giorni mamma Luciana, morta ad 85 anni, ventiquattro dei quali spesi a combattere per far trionfare la verità sull’omicidio di sua figlia Ilaria e di Miran Hrovatin, icona di una battaglia che non è riuscita a vincere.

“Io so perché Ilaria e Miran sono stati uccisi - diceva nel 2014 - Dopo 20 anni di indagini inutili e faticose, di menzogne, depistaggi, sparizioni, altre morti sospette, ho bisogno solo di conoscere i nomi dei mandanti di quel duplice omicidio. Non li voglio vedere dietro le sbarre. Mi basta guardarli in faccia”.

“In vent'anni - proseguiva mamma Luciana - ho imparato a non illudermi. Ho parlato con tutti. Ho ottenuto solidarietà e impegni da Ciampi, all’epoca primo ministro, e da Scalfaro, presidente della Repubblica. Ho ricevuto persino una medaglia d’oro al valor civile da Napolitano. Ho assistito a tre processi, visto indagare cinque diversi magistrati e due Commissioni parlamentari. Ma mi sono trovata sempre davanti a molti silenzi, moltissimi depistaggi, tante prove importanti sparite. Qualcuno, come l’avvocato Carlo Taormina, che guidò la seconda Commissione parlamentare d'indagine, è arrivato a dire che Ilaria in fondo era andata in Somalia per una vacanza. Considerazioni che si commentano da sole. Ma sono ostinata. Non mi arrendo. Voglio vedere se le nostre Istituzioni hanno il coraggio di affrontare la verità. Voglio capire perché Ilaria e Miran sono stati uccisi. Ottenere la conferma di qualcosa che tutti i  protagonisti conoscono. Ma che l’Italia ha paura di ammettere”.

Non ci arrendiamo, Luciana. Lo dobbiamo a Ilaria, a Miran, a noi stessi. Continueremo a parlarne, continueremo a scrivere, continueremo a chiedere e a ricordare. Continueremo a dire che no, noi non archiviamo. Perché parlarne vuol dire mettere in discussione l’intero sistema. E non ci stancheremo mai di farlo. Di chiederci chi è stato? Perché qualcuno è stato.