Il 17 agosto 1980 l’Espresso esce in edicola con un dossier sulla strage di Bologna per il quale Renato Guttuso realizzerà un quadro cui darà lo stesso titolo che Francisco Goya aveva scelto per uno dei suoi Caprichos: Il sonno della ragione genera mostri. Amico dei più importanti intellettuali dell’epoca da Pasolini a Moravia, dei più grandi artisti da Picasso a De Chirico, editorialista de l’Unità, del Corriere della Sera e di Repubblica, uomo colto dall’indubbio fascino e persino cantante dotato di una bellissima voce, Renato Guttuso ha con la sua biografia intersecato gran parte della storia del Partito comunista in Italia. La sua arte, legata all’espressionismo, sarà sempre caratterizzata da un forte impegno sociale che lo porterà anche all’esperienza politica come senatore del Pci per due legislature, durante la segreteria di Enrico Berlinguer.

Nel 1953 disegna lo storico simbolo del Pci, la Falce e Martello, con sfondo tricolore, che verrà ripreso dal creatore della pop art statunitense, Andy Warhol. Racconta Fabio Carapezza, figlio del suo migliore amico adottato e nominato erede: “Andy Warhol negli anni Settanta arrivò a Roma in tempi della campagna elettorale e di euforia per l’atteso “sorpasso” sulla Dc. La città era sommersa di manifesti con quella vistosa “Falce e Martello” che Guttuso disegnò nel ’53 per il partito. Era la prima volta che Warhol vedeva quel logo, ossessivamente ripetuto, e lo fece suo. Ma per correttezza una delle prime versioni la regalò proprio a Guttuso”.

Nel 1972 Guttuso dipinge I funerali di Togliatti che diverrà, ben presto, opera-manifesto della pittura comunista e antifascista, ottenendo nello stesso anno il più importante riconoscimento per un comunista: il Premio Lenin per la Pace. È lo stesso artista a raccontare la genesi dell’opera: “Cominciai col disegnare più volte il profilo di Togliatti. Qua il primo problema. Gli occhiali. Era difficile renderlo a tutti riconoscibile senza gli occhiali…. Circondai il profilo con un collage di fiori ritagliati da alcune riviste di floricultura. Poi cominciai a mettere, attorno a quel punto focale, i ritratti dei suoi compagni, quelli con i quali aveva avuto i più stretti rapporti di lavoro, nell’esilio, in Spagna, in Unione Sovietica. Tenendo conto dei rapporti con Togliatti e non della loro presenza effettiva ai funerali” (nella folla, rigorosamente in bianco e nero, si riconoscono infatti tra gli altri Lenin, Gramsci, Berlinguer - che proprio nel 1972 viene eletto segretario del Pci - Longo, Di Vittorio, Amendola, Pajetta, Ingrao, Natta, Nilde Iotti, papà Cervi, Dolores Ibarruri, Angela Davis, Stalin, Brezhnev e lo stesso artista auto immortalatosi accanto al fotografo Mario Carnicelli).

Esattamente dieci anni prima il pittore aveva realizzato Il Comizio - Omaggio a Giuseppe Di Vittorio, un olio su tela largo quasi tre metri. Un omaggio postumo al segretario generale della Cgil scomparso nel 1957. “Tutto pare come sospeso - diceva sul giorno dei funerali Pier Paolo Pasolini - rimandato: anche io mi ritrovo solo con gli occhi, e come senza cuore, in pura attesa. Ma intanto attraverso gli occhi, il cuore si riempie. Non ho mai visto gente così, a Roma. Mi sembra di essere in un’altra città”.

Il 19 gennaio del 1987 anche i funerali di Guttuso paralizzano Roma. Un’immensa folla con bandiere rosse accompagna la salma dal Senato alla piazza del Pantheon per la cerimonia laica. A destra e a sinistra del feretro camminano i due presidenti delle Camere Nilde Jotti e Amintore Fanfani, mentre sul palco, pronti per l’orazione funebre, aspettano Alberto Moravia, Alessandro Natta e Carlo Bo. Intorno giornalisti, attori e tutti i più potenti politici da Andreotti a Craxi. Le spoglie saranno condotte in volo fino in Sicilia. Ad attendere il pittore Macaluso, Tortorella, Leoluca Orlando (già allora sindaco), l’intero stato maggiore del Pci siciliano, intellettuali e artisti. “Come prima cosa penso che Renato Guttuso è nato pittore. Come seconda cosa penso che questa natura siciliana, questi colori, questo mare, queste montagne, hanno accresciuto la bellezza della pittura. Come terza cosa penso che la sofferenza del popolo siciliano ha aiutato Renato Guttuso a diventare un grande pittore”, dirà di lui Ignazio Buttitta.

“Renato Guttuso è tornato definitivamente a Bagheria, dopo una 'fuga' durata 50 anni - scriveva Emanuele Macaluso - Una 'fuga' fatta di tanti, continui ritorni. Ad aspettarlo c’erano tutti. E tutti sentivano che in quella bara c’era una parte di loro stessi ... La Sicilia di Guttuso è la Sicilia di Verga e di Pirandello. È la Sicilia di Vittorini, di Lucio Piccolo, di Vitaliano Brancati e di Leonardo Sciascia ... Una Sicilia che resta 'intatta' sino agli anni 40-50. Poi c’è l'offensiva, l’attacco contadino al feudo e a tutto ciò che rappresenta nella società. E Renato è con i contadini che rompono il feudo, attaccano la mafia, occupano le terre, spezzano la vecchia Sicilia. È con i capilega fucilati, è con gli zolfatari in lotta contro condizioni terribili. Ed è con loro in modo forte. A loro dà voce con le sue tele e li mette in comunicazione col mondo, rompendo un antico isolamento”.