Il 5 dicembre 1970 Dario Fo metteva in scena per la prima volta Morte accidentale di un anarchico.

Giuseppe Pinelli, ferroviere, animatore del circolo Ponte della Ghisolfa e giovane staffetta nella Brigata Autonoma Franco, forse collegata alle Brigate Bruzzi Malatesta durante la Resistenza, muore nella notte tra il 15 e il 16 dicembre 1969 precipitando da una finestra della questura di Milano, dove era illegalmente trattenuto per accertamenti in seguito alla esplosione di una bomba nella sede milanese della Banca nazionale dell’agricoltura in piazza Fontana. La prima versione data dal questore Marcello Guida nella conferenza stampa convocata subito poco dopo la morte di Pinelli sarà quella del suicidio, ma a questa versione crederanno in pochi. 

Nei mesi successivi alla sua morte il ‘Comitato cineasti contro la repressione’ raccoglierà numerosi materiali per la realizzazione di un lungometraggio sulla vicenda. L’opera sarà portata a termine da due gruppi di lavoro coordinati da Elio Petri e Nelo Risi. Il film, composto da due parti: Giuseppe Pinelli, diretto da Risi, e Ipotesi su Giuseppe Pinelli, anche conosciuto come Tre ipotesi sulla morte di Giuseppe Pinelli, diretto da Petri, vedrà la luce nel 1970.

“Quella sera a Milano era caldo. Ma che caldo che caldo faceva. Brigadiere apra un po’ la finestra. E ad un tratto Pinelli cascò”, recita la Ballata dell’anarchico Pinelli scritta la sera stessa dei funerali. Decine saranno i libri, i filmati, le opere teatrali, le installazioni artistiche, le canzoni dedicate a Pino Pinelli e al suo assassinio, non solo in Italia.

Morte accidentale di un anarchico è una delle commedie più note di Dario Fo (dopo Mistero Buffo e Sesso, grazie, tanto per gradire arriverà al terzo posto nella classifica degli spettacoli di autori viventi più rappresentati nel mondo), rappresentata per la prima volta il 5 dicembre 1970 a Varese da Fo e il suo gruppo teatrale La Comune.

L’allestimento dello spettacolo costerà al futuro premio Nobel più di quaranta processi in varie parti d’Italia (per evitare problemi Fo sposterà l’azione della commedia dall’Italia agli Stati Uniti d’America, dove negli anni venti, nella città di New York, era accaduto un fatto di cronaca simile agli avvenimenti svoltisi intorno alla morte di Pinelli che aveva come protagonista Andrea Salsedo, amico di Bartolomeo Vanzetti). L’opera, nata e sviluppatasi grazie a materiali reperiti dai coniugi Fo (verbali dei processi, articoli di stampa, interviste) cambierà forma man mano che nuove notizie contribuivano all’approfondimento sul caso e dal 1970 al 1973 si avranno tre stesure del lavoro.

Diceva Claudia Pinelli alla camera ardente allestita per ospitare la salma del premio Nobel al Piccolo Teatro Strehler di Milano: “Vogliamo ringraziare Dario per aver messo in scena Morte accidentale di un anarchico, hanno rischiato tantissimo, hanno dovuto fingere di parlare di un’altra persona, hanno agito con grande coraggio, cosa che li ha sempre caratterizzati, sia lui che Franca Rame; grazie al loro spettacolo la vicenda di mio padre è arrivata al grande pubblico”.

Negli anni la famiglia Pinelli non ha mai smesso mai di chiedere verità e giustizia, ancora non ottenute. Dopo cinquanta anni, però, sono finalmente arrivate, attraverso le parole del suo primo cittadino, le scuse della città di Milano. “Il senso di ingiustizia ti rimane dentro e allora, posto che ingiustizia c’è stata, la mia presenza qua oggi ha soprattutto il significato di chiedere scusa e perdono a nome della città per quello che è stato. Credo che sia qualcosa che sentiamo tutti noi profondamente e credo che sia qualcosa che vada fatto. Quindi in primis esprimo la nostra richiesta di perdono alla famiglia Pinelli”, diceva qualche mese fa Beppe Sala piantando un albero intitolato alla memoria di Pino.

“Era uno dei cittadini - proseguiva il sindaco - che faceva il suo dovere e si impegnava politicamente. La Milano di oggi è anche figlia della figura di Pinelli, di quello che ci ha lasciato e di quello che abbiamo imparato. Non è mai tardi per imparare e io dalla sua storia penso di avere imparato molto”.

“Non si serve lo Stato se non si serve la Repubblica e, con essa, la democrazia. L’attività depistatoria di una parte di strutture dello Stato è stata, quindi, doppiamente colpevole”, aggiungeva il presidente della Repubblica Sergio Mattarella (primo nella storia del nostro Paese a partecipare alle commemorazioni della strage) dopo aver incontrato a Palazzo Marino le vedove di Giuseppe Pinelli, Licia (con le due figlie Silvia e Claudia) e del commissario Luigi Calabresi, Gemma.… E in quella fredda giornata milanese l’Italia sembrava, per un momento, riappacificarsi con se stessa. Perché la storia non si ferma davvero davanti a un portone, la storia entra dentro le stanze, le brucia, la storia dà torto e dà ragione. La storia siamo noi, siamo noi che scriviamo le lettere, siamo noi che abbiamo tutto da vincere, tutto da perdere…