È di Mario Rigoni Stern una delle più belle definizioni della parola “compagno” che mi sia mai capitato di leggere.

Cari Compagni - scriveva nel 2007 - sì, Compagni, perché è un nome bello e antico che non dobbiamo lasciare in disuso; deriva dal latino 'cum panis' che accomuna coloro che mangiano lo stesso pane. Coloro che lo fanno condividono anche l’esistenza con tutto quello che comporta: gioia, lavoro, lotta e anche sofferenze. È molto più bello Compagni che 'Camerata' come si nominano coloro che frequentano stesso luogo per dormire, e anche di 'Commilitone' che sono i compagni d’arme. Ecco, noi della Resistenza siamo Compagni perché abbiamo sì diviso il pane quando si aveva fame ma anche, insieme, vissuto il pane della libertà che è il più difficile da conquistare e mantenere. Oggi che, come diceva Primo Levi, abbiamo una casa calda e il ventre sazio, ci sembra di aver risolto il problema dell’esistere e ci sediamo a sonnecchiare davanti alla televisione. All’erta Compagni! Non è il tempo di riprendere in mano un’arma ma di non disarmare il cervello sì, e l’arma della ragione è più difficile da usare che non la violenza. Meditiamo su quello che è stato e non lasciamoci lusingare da una civiltà che propone per tutti autoveicoli sempre più belli e ragazze sempre più svestite. Altri sono i problemi della nostra società: la pace, certo, ma anche un lavoro per tutti, la libertà di accedere allo studio, una vecchiaia serena; non solo egoisticamente per noi, ma anche per tutti i cittadini. Così nei diritti fondamentali della nostra Costituzione nata dalla Resistenza.

Compagno. Una parola oggi poco utilizzata, quasi fuori moda. 

Il significato della parola "compagno"

“Certo è difficile dire oggi questa parola - diceva del resto Rossana Rossanda - Non capiscono più in che senso lo dicevamo. È una bella parola ed è un bel rapporto quello tra compagni. È qualcosa di simile e diverso da amici. Amici è una cosa più interiore, compagni è anche la proiezione pubblica e civile di un rapporto in cui si può non essere amici ma si conviene di lavorare assieme”.

“Chiamare qualcuno compagno - ci diceva don Gallo - significa attribuirgli non solo una convinzione politica ma riconoscergli un valore di umanità, onestà, generosità, attendibilità, che nessun altra parola può esprimere con uguale compiutezza”.

Compagni e compagne per il sindacato

Compagni e compagne sono quelli “mangiano lo stesso pane”, con tutto quello che comporta.

“Onorevoli colleghi - affermava Giuseppe Di Vittorio in Parlamento - questa mattina qualcuno seduto in quest’aula, per dimostrare il suo disprezzo per la mia presenza qui, ha mormorato: “Un cafone in parlamento…” Ebbene sappiate che questo titolo non mi offende, anzi, mi onora. Infatti se io valgo qualcosa, se io sono qua, lo devo ad Ambrogio, a Nicola, a Tonino, a tutti quei braccianti analfabeti che hanno dormito insieme a me nelle cafonerie e con me hanno mangiato pane e olio, che hanno lottato duramente per i diritti dei lavoratori, di tutti i lavoratori, perché la fame, la fatica, il sudore non hanno colore e il padrone è uguale dappertutto”.

“La soddisfazione più grande - affermava Fernando Santi lasciando la Cgil - sarebbe quella di potere avere la certezza che un bracciante, un operaio, un lavoratore solo, nel corso di questi 18 anni abbia detto, pure una sola volta di me: è uno dei nostri, di lui ci possiamo fidare. Per potergli oggi rispondere: puoi fidarti ancora, compagno”.

Puoi fidarti ancora, compagnə.