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Sono trascorse due settimane dalla grande manifestazione contro la violenza sulle donne che ha letteralmente invaso le strade del centro di Roma, peraltro con uno slancio di determinazione e gioia nonostante la pioggia. Un’iniziativa che ha visto la partecipazione di donne di tutte le età e provenienza e anche di uomini. Tutte e tutti insieme per sfilare con un obiettivo comune: dire basta a femminicidi, maltrattamenti e discriminazioni di genere. Tanto bel rumore che tuttavia è stato scarsamente riportato a livello nazionale. Per questa ragione, e anche con l’obiettivo di dare un risalto a livello internazionale, le attiviste di Non una di meno torneranno a farsi sentire, domani venerdì 7 dicembre presso la facoltà di Lettere e Filosofia di Roma Tre, con un’assemblea pubblica che vedrà anche la presenza di delegazioni dal Brasile e dall'Amazzonia. Si parlerà anche del recente caso giudiziario argentino che ha visto l’assoluzione di tre uomini autori dell’omicidio della sedicenne Lucia Perez. “Todas somos Lucia”, fanno sapere dall’Argentina le rappresentanti di Ni una menos, impegnate nel protestare contro una sentenza patriarcale che rappresenta una derubricazione del femminicidio in semplice reato di droga.
Il messaggio vuole essere chiarissimo: la violenza contro le donne è un fenomeno trasversale e globale. Nel nostro Paese oltre un quarto delle donne uccise è di nazionalità non italiana e nel 41 per cento dei casi l’autore, invece, risulta essere un cittadino italiano. È la storia dimenticata di Violeta Senchiu, la donna di nazionalità romena brutalmente uccisa nella provincia di Salerno dal compagno italiano, Gimino Chirichella, che ha fatto esplodere l’appartamento con due taniche di benzina. Violeta aveva 32 anni, era madre di 3 figli ed è morta dopo ore di atroce agonia per le ustioni riportate. Violeta, però, è stata raccontata poco nelle pagine dei media e qualche volta persino senza nome.
“Le donne romene uccise in Italia muoiono più volte: muoiono in un trafiletto senza un’identità, muoiono nei commenti razzisti degli articoli e muoiono anche nei commenti negativi dei propri connazionali, che le odiano perché hanno avuto un compagno italiano”, così commenta Anca A. Mihai, giornalista romena e corrispondente dall’Italia per l’Agenzia nazionale di stampa romena. Nel 2017, secondo i dati diffusi dall’Istituto nazionale di statistica della Romania, oltre un milione di donne ha dichiarato di aver subìto minacce o abusi in ambiente familiare. Considerando che molte neppure denunciano, si può affermare che i numeri sono ben più alti. “Non esistono centri di ascolto o aiuto, a parte qualche rara eccezione nelle grandi città – sottolinea Anca A. Mihai –, quindi le donne subiscono senza che siano segnalati gli episodi di violenza e non si può avere una piena contezza del fenomeno. Per quanto riguarda le donne romene in Italia, spesso impiegate in ruoli di cura o assistenza di anziani, sono lavoratrici che non sempre vedono riconosciuti i propri diritti, magari con contratti irregolari o senza un giorno di riposo. C’è anche tanto stereotipo rispetto alle donne romene, quindi per paura di non essere credute preferiscono non parlare”.
Secondo i sondaggi, in Romania l'8,5 per cento delle persone crede che la violenza domestica si trovi solo in famiglie povere e più del 15 per cento ritiene sia dipendente dal livello culturale. “Allo stato attuale – prosegue Mihai – una donna su dieci subisce violenza domestica e questo abuso non è direttamente correlato allo stato civile, alla religione o all’ambiente socio-economico di provenienza. Altro aspetto su cui è necessaria una riflessione è l’assenza del termine femminicidio nella lingua romena. Non esiste una traduzione e questo la dice lunga sul fatto che non ci sia una normativa specifica, proprio perché non è riconosciuto socialmente”.