Per ora i licenziamenti sono congelati, ma la situazione non è certo risolta. La vertenza della multinazionale statunitense Invatec Medtronic, azienda leader del settore biomedicale, che il 7 giugno scorso ha annunciato la chiusura dei due stabilimenti bresciani di Roncadelle e Torbole Casaglia entro il primo semestre del 2020, con la conseguente messa in mobilità dei 314 dipendenti, vive oggi (giovedì 26 luglio) una giornata molto importante. Due gli incontri: il primo (alle ore 8.30) a Brescia, presso l’Associazione industriali, con la partecipazione dei sindacati; il secondo (alle 16.30) a Milano, nella sede della Regione Lombardia, per un’audizione richiesta dalle formazioni politiche presenti in Consiglio.

Un primissimo risultato Filctem Cgil, Femca Cisl e Uiltec Uil lo hanno raggiunto il 12 luglio scorso al “tavolo di crisi” convocato al ministero dello Sviluppo economico. La multinazionale, pur ribadendo l’intenzione di volersi disimpegnare entro il giugno 2020, ha accettato di congelare i 314 licenziamenti (il personale è composto per il 90 per cento di donne), che sarebbero divenuti effettivi in dicembre-gennaio. La Invatec Medtronic ha anche annunciato di aver affidato alla società italiana Vertus l’incarico di individuare opportunità di re-industrializzazione del sito, ossia nuovi acquirenti dei due impianti, “anche coinvolgendo aziende concorrenti”.

Il passo avanti nella vertenza ha anche interrotto lo sciopero con presidio a oltranza che durava ormai da 37 giorni. I sindacati hanno comunque mantenuto lo stato di agitazione per l’intera settimana, con un’ora di stop al giorno (articolata secondo le decisioni delle Rsu). Filctem Cgil, Femca Cisl e Uiltec Uil hanno però “promesso” che la protesta tornerà a inasprirsi se l’azienda non manterrà gli impegni su occupazione e reindustrializzazione dei siti assunti al ministero. Hanno anche assicurato che non ci saranno straordinari o turni di notte per recuperare il lavoro perso, e che il piano ferie resterà immutato.

La vicenda della Invatec Medtronic ha inizio nell’aprile 2010, con l’acquisizione appunto da parte della multinazionale Medtronic. L’impresa era sicuramente molto appetibile, forte soprattutto di una riconosciuta eccellenza sul mercato internazionale nell'attività di sviluppo, creazione, assemblaggio e vendita di dispositivi coronarici. Il piano strategico quinquennale della multinazionale, però, prevede già una riduzione, a partire dal maggio 2012, di 300 addetti (tra diretti e indiretti), che avviene mediante esuberi volontari, contratti di solidarietà, cassa integrazione ordinaria e straordinaria. Una nuova procedura di 125 licenziamenti viene aperta nel marzo 2017, fortemente contrastata dai sindacati. Per arrivare infine al 7 giugno scorso, con l’annuncio della chiusura dei due stabilimenti e la decisione di delocalizzare in Messico i comparti produzione, ricerca e sviluppo.

“La decisione della multinazionale americana di spostare all'estero produzione, ricerca e sviluppo è inaccettabile”. Una dura presa di posizione sulla vertenza era arrivata nei giorni scorsi da Susanna Camusso, segretario generale della Cgil, che aveva osservato come si siano “così vanificati i sacrifici dei lavoratori che non più di un anno fa hanno sottoscritto un accordo che aumentava il part time per salvare i posti di lavoro”. Per il leader sindacale “non è accettabile che l'azienda, dopo aver acquisito brevetti di una produzione altamente specializzata, usato impunemente licenziamenti, ammortizzatori sociali e soldi pubblici, sposti in modo ingiustificato produzioni e ricerca, lasciando 314 persone senza lavoro e senza prospettive”.