Sono sempre di meno, sempre più insoddisfatti, sottoposti a carichi di lavoro sempre più pesanti. È la condizione operaia nelle fabbriche metalmeccaniche della Puglia che emerge dall’indagine condotta dalla Fiom attraverso la somministrazione di un questionario con 33 domande: investimenti, qualificazione del lavoro, sicurezza, innovazione tecnologica, salario, esternalizzazioni, contrattazione aziendale, rapporto con il sindacato le voci approfondite.

La ricerca – presentata a Bari nel corso di un incontro pubblico promosso da Cgil e Fiom pugliesi – è stata condotta su un campione di cinque tra le più importanti aziende del settore metalmeccanico nella regione: tre del gruppo Fiat (Fpt di Foggia, Cnh di Lecce e Magneti Marelli di Bari) e due della componentistica (Bosch e Orleikon, entrambe di Bari).

Oltre 300 i questionari, rigorosamente anonimi, compilati e analizzati, dai quali viene fuori un quadro poco rassicurante. La condizione prevalente degli intervistati è di appartenere a famiglie monoreddito con coniuge casalinga (43,5% dei casi) o disoccupata (18,4%). In maggioranza sono in possesso di un contratto di lavoro a tempo indeterminato ma per il 75 per cento di loro negli ultimi dieci anni la condizione di lavoro è peggiorata: a causa dell’aumento dei carichi di lavoro (54%), per l’incertezza del rapporto di lavoro (19%), per l’aumento del rischio infortuni (4%).

Particolare curioso: quanti hanno indicato un infortunio subito nei tre anni precedenti o in periodi antecedenti sono ben il 20 per cento dei lavoratori, dato di particolare interesse – affermano alla Fiom – in quanto in particolare negli stabilimenti del gruppo Fiat non si dichiarano infortuni da diversi anni. “Perché non emergano sempre nella loro evidenza – si legge nel report – questi sono trasformati in molti casi in giorni di malattia. Dei 59 infortuni dichiarati circa un quarto lo ha regolarmente denunciato e altrettanti li hanno visti tramutati appunto in giorni di malattia.

Un settore, quello metalmeccanico in Puglia, che tra il 2009 e il 2013 ha visto passare il numero di addetti da 62mila a 54mila. Eppure delle 80 iniziative finanziate dalla Regione con programmazione dei fondi comunitari 2007-2013, quelle riferite a industrie metalmeccaniche erano 55 e assorbivano il 50 per cento degli investimenti e il 57 per cento dei contributi. I nuovi investimenti non hanno comportato a una qualificazione più alta del lavoro o a un ampliamento dell’occupazione, ma sono serviti al mantenimento – dove possibile – di quella esistente. Una riduzione degli addetti determinato in molti casi dai processi di innovazione tecnologica e per crisi aziendali.

L’indagine della Fiom è servita anche a mappare la condizione lavorativa di alcuni indotti come quelli dell’Eni di Brindisi e Taranto e quello dell’Ilva. Qui sono emerse rilevanti differenze salariali e contrattuali tra gli occupati diretti e quelli investiti da processi di esternalizzazione delle produzioni, assieme a una maggiore difficoltà del sindacato di essere presente in queste realtà con proprie rappresentanze. Così come poco diffusa è la contrattazione di secondo livello.

Sul totale degli intervistati, il 70 per cento ha dichiarato di essere iscritto a una organizzazione sindacale, il 10 lo è stato in passato. La richiesta di miglioramenti salariali rappresenta in assoluto la prima motivazione di intervento sindacale, mentre pesa maggiormente nella componente più giovane dei lavoratori la voce che attiene alla stabilizzazione di chi ha un contratto a termine. 

Un ultimo aspetto: l’indagine ha sondato il parere dei lavoratori degli stabilimenti Fiat circa gli aumenti salariali così come previsti dal contratto collettivo specifico voluto da Marchionne: ebbene quasi tutti gli intervistati hanno espresso una valutazione negativa o molto negativa.

Un lavoro, quello condotto dalla Fiom pugliese, che farà da base a un rilancio della fase vertenziale e rivendicativa che vedrà impegnata la categoria nei prossimi mesi, con la costruzione di coordinamenti e piattaforme aziendali. L’obiettivo uno solo: riaffermare un ruolo contrattuale e un effettivo controllo e gestione dei temi che riguardano la prestazione lavorativa, la tutela della salute, il salario, la turnazione.