Ancora una strage di minatori. Questa volta la violenza omicida si è abbattuta sulla miniera turca di Soma. Sono 282 finora (15 maggio), le vittime recuperate giù nelle viscere della terra, ma il numero è destinato a salire. È stato recuperato anche il corpo di un giovane appena quindicenne e questo ci dà la dimostrazione di quanto poco o niente, in molte parti del mondo, sia il rispetto delle leggi sul lavoro.

Un vero disastro che rimarrà impresso nelle coscienze di chi ne porta la responsabilità. I minatori, uomini dediti alla fatica e al sacrificio, che in ogni parte del mondo: Cina, Perù, Sud Africa, Australia, Cile, si calano a profondità impensabili per riportare in superficie oro, rame, carbone, pirite e ogni altro minerale o metallo che farà la fortuna di pochi e la disgrazia di molti. Di fronte a questi disastri siamo ancora capaci di indignarci ma poco facciamo quando veniamo a sapere che le miniere turche, come quelle di altri paesi, sono da tempo al centro di polemiche per la mancanza di sicurezza. L'input che prevale è sempre quello di andare avanti per non far mancare nulla al nostro benessere. Una volta spente le luci della ribalta e calate le tende sul palcoscenico mondiale i minatori rimarranno ancora soli, ed esauriti i giorni della frenesia tutto tornerà normale. Sui giornali si perderà l'eco di quella tragedia.

Così, purtroppo, è la normalità. Ricordate quanta emozione ci aveva dato Mario Antonio Sepúlveda appena ritornato alla luce, nell'ottobre del 2010, dopo essere stato sepolto vivo assieme ai suoi compagni nella miniera di San José nel deserto cileno dell'Atacama? Disse: “Ora non trattateci come artisti famosi: io voglio essere trattato come Mario Antonio Sepúlveda, lavoratore, minatore. I dirigenti devono fornire i mezzi per cambiare le condizioni di lavoro: così non si può andare avanti”. E proseguì: “Noi minatori non siamo più i derelitti di cento o duecento anni fa, siamo persone istruite e competenti, con le quali ci si può sedere a chiacchierare in qualunque tavolo del Cile”.

Le sue parole ci emozionarono. Sepúlveda, parlando a una platea planetaria, aveva messo al centro la sicurezza e la dignità dei lavoratori, aveva spostato l'angolo visuale della discussione, aveva posto un problema reale ricordando a tutti che, calato il sipario sulle loro gesta, si sarebbero ritrovati con i problemi di sempre, e il primo da affrontare era la questione della sicurezza.

Anche se in ritardo attualizziamo il suo messaggio che chiedeva la sicurezza come obiettivo mondiale. La sicurezza del lavoro in miniera dovrà avere, in ogni parte del mondo, parametri universali che abbiano al centro il rispetto per la vita e la dignità di chi lavora come il primo dei diritti.

Si continuerà a parlare in questi giorni della miniera turca di Soma e delle sue vittime. Imponiamoci di non farci distrarre da un reality che cercherà nel dolore la sua audience, ma di obbligare chi ne ha l'autorità, dopo questa tragedia, a promulgare leggi da far valere e rispettare in tutto il mondo per un lavoro che, fuori dalle regole, vede sempre la morte in agguato.