Marce, fiaccolate, presìdi in Consiglio comunale, scioperi, assemblee in fabbrica, picnic sociali, flash mob, blocchi del traffico. Ma anche laboratori di decorazione per i piccoli dell’ospedale pediatrico Meyer e una petizione su change.org. Nell’ultimo anno i 250 operai della Richard Ginori, la storica manifattura di porcellane di Sesto Fiorentino, le hanno provate tutte. Martedì 7 novembre hanno persino occupato lo stabilimento. Tutto per chiedere con forza una cosa: si chiuda l’estenuante trattativa per la compravendita dei terreni su cui sorge la fabbrica, a oggi in stallo, perché l’offerta dell’azienda del gruppo Kering (che attraverso la maison di moda Gucci controlla la Richard Ginori da dopo il fallimento del 2013) alla curatela di Ginori Real Estate è stata fin qui rifiutata dai creditori (tra cui le banche doBank e Bnl), perché non ritenuta congrua.

La trattativa fino a poche settimane fa sembrava sul punto di chiudersi positivamente: “L’accordo era fatto, poi le banche lo hanno rinnegato, alzando il prezzo e speculando così sulla pelle dei lavoratori. Un qualcosa di gravissimo, inaccettabile”, tuona Bernardo Marasco, segretario generale della Filctem Cgil Firenze, che da cinque anni segue la vertenza. L’acquisto dei terreni è la precondizione affinché si possa mettere in atto il piano di rilancio promesso dall’azienda ai sindacati, che parla di investimenti per potenziare le vendite e recuperare efficienza, con l’obiettivo di ripristinare l’equilibrio della gestione patrimoniale e di produrre una “sensibile” crescita del fatturato entro il 2019.

Lavoratori e sindacati hanno al proprio fianco, nella loro battaglia, la Regione, la Città metropolitana fiorentina e il Comune, che ha invitato le banche a scordarsi di eventuali sogni di speculazione edilizia: “Se questi terreni non verranno venduti alla Ginori resteranno lì, non daremo mai l'autorizzazione a un cambio di destinazione d’uso”. Al ministero dello Sviluppo economico c’è un tavolo aperto sulla vertenza. Ma la situazione della trattativa non si sblocca. “Non c’è più tempo, i lavoratori sono arrivati al colmo della pazienza. È da irresponsabili non trovare una soluzione positiva a questa trattativa, ogni minuto che passa mette a repentaglio il destino dell’azienda – aggiunge Marasco –. Con l’occupazione della fabbrica abbiamo compiuto un atto forte e simbolico che vuol far vedere cosa sono disposti a fare questi lavoratori per tutelare la loro fabbrica, i loro posti di lavoro, la storia di questa azienda. La nostra mobilitazione dura da tanto tempo e non si ferma”.

La partita Richard Ginori ha nel pacchetto anche la questione del Museo della manifattura di Doccia (sempre nei pressi di Sesto Fiorentino), fondata nel 1735 dal marchese Carlo Ginori, primo embrione della fabbrica di oggi (nel 1896 avvenne la fusione con il gruppo industriale del milanese Augusto Richard): per il museo, pensato come vetrina e traino per lo stabilimento produttivo, si va verso un’acquisizione da parte dello Stato, come annunciato qualche mese fa dal ministro Franceschini. Quella della Richard Ginori è insomma una storia che dura da secoli. E ora i lavoratori, come recita lo striscione posto dai lavoratori ai cancelli della fabbrica, chiedono solo una cosa: “Non fermate le mani che creano la bellezza”.