A due anni e mezzo dall’ omicidio a Fermo del giovane nigeriano, a Macerata si è consumato un altro inquietante atto razzista, che ha visto una reazione di massa con la partecipazione da tutta Italia di migliaia di persone. Nel paese c’è una parte della popolazione che si indigna, reagisce e per così dire ha “gli anticorpi", ma al tempo stesso il tragico evento fermano e quello maceratese sono stati eventi rivelatori. Rivelatori di un clima tra la gente e anche tra gli iscritti alla Cgil di ostilità e paura verso l’altro, lo straniero e perché no, il povero. Alcuni esternano, con frasi deliranti, molti rimangono in silenzio.

Ed è proprio questo silenzio che preoccupa, come quando davanti ad insulto gratuito verso il migrante la gente intorno non interviene e si volta dall’altra parte o come quando chi inneggia a  Mancini o a Traini , raccoglie tanti “mi piace”. Così nelle assemblee  sindacali, quando alle grida di qualcuno che criminalizza lo straniero e che vomita tutte insieme le frasi vergognose sentite dai vari Salvini, non si levano voci indignate e decise, ma prevale il silenzio o il borbottio. Temiamo quel silenzio. Intriso di complicità, indifferenza e qualunquismo, temiamo la trasformazione di quel silenzio in cori pericolosi. Temiamo quel silenzio come sottovalutazione, temiamo il silenzio di chi oggi come domani dovrebbe invece costituire un cordone sanitario all’avanzare di idee fasciste e xenofobe.

Bisogna indagare quella zona grigia, capire e impegnarsi perché non si trasformi in qualcosa di peggio, perché lì ci sono tante brave persone che hanno tanta paura del futuro. Dobbiamo recuperare un rapporto di fiducia che sempre di più riduca la distanza tra i valori fondanti della nostra organizzazione e il sentire comune della nostra base. Non bastano i momenti consueti di discussione, assemblee, direttivi, congressi; non bastano manifestazioni, volantini e documenti, spesso approvati a grande maggioranza o addirittura all’unanimità. Occorre essere presenti nel territorio, creare un rapporto costante con quelle associazioni, cittadini in prima linea su questi temi; costruire un coordinamento permanente con questi soggetti che quotidianamente lavori e si impegni con iniziative, anche di carattere culturale, il più inclusive possibile.

La costituzione del Comitato 5 luglio a Fermo con la presenza di sindacalisti, operatori Sprar, rappresentanti dell’Anpi, di associazioni di volontariato, singoli cittadini ci ha dato e ci dà la possibilità innanzitutto di sentirci meno soli  aspetto da non sottovalutare) e di creare una azione sinergica e frutto di diverse esperienze che vada oltre il luogo di lavoro e che parli alla cittadinanza tutta. E occorre investire molta formazione su questi temi e non solo sui  contenuti. Ma anche nella gestione e mediazione del conflitto, partendo dalla consapevolezza che è in atto una guerra tra poveri, indotta e alimentata strumentalmente e che non c’è conquista sindacale che possa reggere nella fragilità della nostra rappresentanza diffusa.

A Fermo abbiamo iniziato un percorso formativo nel 2015 rivolto all’apparato politico, ai servizi e ai delegati, proprio su questi temi: dal confutare i luoghi comuni all’approfondimento del fenomeno migratorio con il supporto di testimonianze dirette ed esperti. Nel 2017 abbiamo iniziato un percorso formativo rivolto a delegati e funzionari con la partecipazione di alcuni operatori Sprar come docenti: Emanuela Battisti (medico psicoterapeuta, esperta in formazione in ambito biopsicosociale e mediazione umanistica dei conflitti) e Daniel Salgado (counselor esperto di formazione nelle scuole e nel territorio, sulla mediazione dei conflitti e sui temi dell’accoglienza). Continueremo per il 2018 con la formazione su questi temi rivolta a tutte le Rsu.

Maurizio Di Cosmo è segretario generale Camera del lavoro di Fermo; Giusy Montanini è  segretaria generale della Fiom Cgil di Fermo e responsabile per la formazione sindacale