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Come un sussurro inizia a circolare, prima nei gruppi WhatsApp poi a voce sempre più alta. La notizia della morte di Angelo Raffaele Fuggiano nello stabilimento Ilva di Taranto diventa un’onda furiosa che si abbatte su tutta la città, irrompe nella quotidianità. In fabbrica i sindacati metalmeccanici proclamano lo sciopero immediato fino alla fine del primo turno di domani. I lavoratori escono dall’impianto e, a parte la tristezza, colpisce una sorta di senso dell’abbandono. Gianni B., che lavora nel reparto spedizioni, racconta che oltre alla preoccupazione per la situazione di precarietà legata alla vendita dello stabilimento, c’è anche quella legata alle condizioni: “Sicurezza quasi zero e spesso si fanno cose che non si dovrebbero. Noi diretti ci sentiamo in bilico, figuriamoci chi lavora nell’appalto, chi è meno tutelato. A loro toccano i lavori peggiori”.
Un po’ di rassegnazione: “Non è stato il primo – prosegue Gianni –, non sarà l’ultimo se le cose non cambiano. Ma solo chi sta dentro conosce le problematiche. Abbiamo a che fare con macchinari vecchi di vent’anni. Mi chiedo: le funi vanno sostituite dopo aver fatto una quantità prestabilita di ore. Questo aspetto sarà oggetto delle indagini?”.
Angelo Fuggiano aveva 28 anni: era un precario, un contratto a tempo determinato, come Giacomo Campo, l’operaio di 25 anni morto all’Ilva il 17 settembre del 2016. Chi sente sul collo la fine del contratto è più propenso a mettersi a rischio, chi non è tutelato pensa alla famiglia da mantenere. Angelo lascia una moglie e due bambini. Francesco M., del reparto magazzino, ci racconta qualcosa sulla situazione della sicurezza in Ilva: “Sappiamo quando entriamo in fabbrica e non sappiamo quando usciamo o se usciamo. Vedo abbandono ovunque, e tutto è lasciato alla volontà dei responsabili. In magazzino il caporeparto è attento e va bene così, ma nel resto dello stabilimento?”.
Raccogliamo il parere di alcuni degli operai usciti per lo sciopero, secondo i quali il picco delle adesioni è da attendersi nella giornata di domani, ma c’è un senso di frustrazione legato all’incapacità di incidere davvero su quanto accade, all’incertezza della trattativa sulle condizioni di lavoro. Francesco continua: “Le cose vanno male qui dai tempi di Riva, ma i responsabili non vanno cercati solo fuori. Anche i sindacati, e anche noi lavoratori, che non siamo capaci di reagire”.
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