…l’azienda che diverrà poi tristemente famosa, nel ’76, per la fuga di diossina che provocò uno dei grandi disastri ambientali della storia del paese. Gli abbiamo chiesto di riportarci, con la sua esperienza, al clima di allora.

“L’Icmesa mi aveva assunto da appena un anno, nell’estate del ’68, ed ero diventato presto membro della commissione interna. I chimici erano stati a lungo una categoria ritagliata essenzialmente su Montecatini, Pirelli e un po’ di farmaceutica. Gli anni 60 segnano invece il boom: vengono immessi sul mercato un gran numero di nuovi materiali, l’impresa media vive una grande espansione. E questa espansione è anche una delle cause determinanti del ciclo di lotte del ’68-69.

“Perché? Perché l’impresa media è il luogo in cui s’insedia più fortemente il sindacato. Per spiegare ciò che accadde va ricordato innanzitutto che l’ultimo contratto, quello del ’66, era stato un contratto misero, non aveva dato nulla. All’inizio del ’68, poi, deludente era stato pure il contratto della gomma. In una categoria, fra l’altro, che non vedeva ancora l’unità d’azione che già praticavano i metalmeccanici. Beh, quello che si porta a casa dopo l’autunno è davvero da non credersi: la piattaforma viene realizzata quasi nella sua interezza. Poi, come sappiamo, verranno il riconoscimento dei delegati e quella straordinaria conquista di civiltà che è lo Statuto dei lavoratori.

“La reazione? Fu dura. Si ricordano giustamente le 14mila denunce che vennero dopo. Ma, prima ancora, ci fu la strage di Piazza Fontana e l’inizio della strategia della tensione. La nostra presenza ai funerali fu decisiva: la dimostrazione, confermata poi negli anni del terrorismo, che eravamo una grande forza nazionale, che la lotta per i diritti era una sola cosa con la difesa della democrazia. Certo, non fu una decisione semplice. La parola d’ordine, come per un riflesso condizionato, era inizialmente: ‘vigilanza’.

"Nella Camera del lavoro, nel Pci e nella sinistra c’era il timore di ulteriori provocazioni, l’idea che molti sostenevano era quella di limitarsi a presidiare le sedi. Ci fu una discussione aspra, il momento era molto confuso. Poi, quando anche la Uilm fece sapere che era per la partecipazione, la discussione finì. E con le tute blu in Piazza Duomo s’impedì che la tragedia potesse essere strumentalizzata dalla ‘maggioranza silenziosa’, che allora stava nascendo.

“Dov’ero il giorno della strage? Proprio lì, a Milano: l’azienda mi aveva mandato al Politecnico a prendere il patentino per l’uso dei gas tossici. Ricordo l’incredulità. E un episodio buffo, come spesso accade di fronte alle tragedie, alle tragedie vere. Stavo prendendo il treno per tornare a casa, quando vidi venirmi incontro un operaio che conoscevo, si chiamava Frattini, che gridava esaltato: ‘È stata una bomba, è stata una bomba’. Sembrava quasi contento; ma, com’è ovvio, il sentimento non era questo: semplicemente, per lui era finito un incubo. Si trattava di un operaio della ditta che aveva installato le caldaie nella Banca dell’Agricoltura. La notizia della bomba aveva tardato un po’, e lui era stato tutto il tempo con il terrore che fosse scoppiata una caldaia, che insomma il lavoro suo e dei suoi compagni fosse stato fatto male.

“Cosa rimane di quella stagione? I diritti. Il potere si è molto ridimensionato. Ma resta una trama fitta e solida di diritti: individuali e collettivi. E una grande avanzata civile. Una vecchia Italia ottusa e bigotta finisce lì”.