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In Italia, solo il 48,9% delle donne presenti nel mercato del lavoro è occupata, ben 18 punti percentuali in meno rispetto agli uomini. Il nostro Paese, poi, si trova a una distanza enorme dai risultati ottenuti da altri Stati europei. “Ma c'è di più, perché il tasso disoccupazione femminile nel sud è del 30%: un livello che non si trova in nessun altro angolo d' Europa. Quindi, se nelle migliori regioni italiane si registrano tassi nella media europea, nelle altre si scende di molto”. A dirlo, ai microfoni di RadioArticolo1, è Lorenzo Birindelli, ricercatore della Fondazione Di Vittorio.
Le donne, tra l'altro, secondo un'indagine che la Fondazione Di Vittorio ha preparato in occasione dell'8 marzo, sono anche relegate in settori e in occupazioni prevalentemente dequalificati. “C'è una segregazione di genere – continua Birindelli -. Abbiamo registrato una sottorappresentazione intorno al 30% nelle professioni più alte. In altri settori c'è invece più equilibrio, mentre in alcuni casi molto meno. C'è un gap molto forte, che nella fascia media si riduce di poco, ma che rimane sempre alto. E più alto che altrove”.
Questo fenomeno determina anche una differenza reddituale tra uomini e donne, dovuta anche al fatto che troppe volte alle donne viene imposto un part-time non scelto. “Il part-time femminile non voluto è di 4-5 volte superiore a quello maschile - conferma il ricercatore della Fondazione Di Vittorio -. Questo fatto si ripercuote poi su redditi. Quindi ci sono meno donne che guadagnano, e che guadagnano il 24% in meno degli uomini secondo dati Istat. Un doppio danno: mancanza di lavoro e un lavoro pagato meno”.
Il tutto rende le lavoratrici italiane più ricattabili. Nei mesi scorsi è stato squarciato un velo sul fatto che la maggior parte delle donne occupate è stata vittima di molestie. “Ricatto e potere sono i due termini della questione che si gioca sui corpi delle donne – afferma Gianna Fracassi, segretario confederale della Cgil -. C'è veramente un tema culturale che trova vittime sempre le donne. Su questo versante si può e si deve fare molto di più. Ed è chiaro che il quadro strutturale di riferimento del nostro mercato del lavoro accentua anche la possibilità di essere molestate e ricattate”.
Per questo, conclude Fracassi, “rafforzare il ruolo e la partecipazione della donna nel mercato del lavoro sarebbe funzionale anche a ridurre questo triste fenomeno”. La crisi, però, ha peggiorato la situazione, e “gli interventi di natura legislativa che ci sono stati non hanno qualificato il lavoro della donna, a partire dal jobs act”. Giunti a questo punto ci deve dunque essere “una presa di coscienza collettiva, che deve necessariamente partire dalle donne ma che deve investire anche le scelte politiche ed economiche che si fanno. Va complessivamente rivisto il quadro delle tutele e delle protezioni”. La Cgil spera infatti “che nel prossimo Parlamento si possa discutere della Carta dei diritti, e un cambio di rotta sul versante economico”. Per costruire lavoro, insomma, “non bastano gli interventi di natura architetturale, occorre un intervento molto forte sul versante degli investimenti e delle politiche dedicate”.