PHOTO
L'articolo che segue è tratto da Idea Diffusa, l'inserto sull'innovazione digitale realizzato da Rassegna Sindacale insieme all'Ufficio lavoro 4.0 della Cgil. Qui il pdf integrale del nuovo numero.
I nuovi processi di produzione, le nuove mansioni e professionalità – e con esse le nuove forme di sfruttamento – non riguardano i tradizionali luoghi di lavoro dove per la prima volta l’impatto delle nuove tecnologie si è manifestato. In maniera più estesa, esse impattano le modalità dell’organizzazione del lavoro, i suoi processi produttivi e realizzativi a partire dall’uso di dispositivi anytime ed everywhere che consentono lo svolgimento di funzioni personali e lavorative allo stesso tempo, con il tempo di lavoro che tende ad espandersi su tutte le 24 ore giornaliere. L’altro grande tema riguarda i livelli occupazionali o, meglio, il grado di sostituibilità dell’uomo con l’intelligenza artificiale e la robotizzazione. Molti considerano sovrastimata la possibilità sostenuta da alcuni di sostituire il lavoro umano con le macchine. Questa considerazione poggia sul paradosso del filosofo ungherese Michael Polanyi: “La conoscenza tacita che possediamo di come funziona il mondo è superiore a quella che riusciamo a spiegare”. È anche vero che sono diversi i tentativi di superare il paradosso di Polanyi, cercando di sommare la capacità di imparare da esempi con l’accumulazione di esperienza e trasferendo il tutto nella programmazione dei software, esattamente come facciamo noi umani (il cosiddetto deep learning).
Come cambia il lavoro con i nuovi strumenti
Nel cineaudiovisivo, in particolare durante la contrattazione per il rinnovo dei ccnl generici, facemmo un accordo per ridurre il costo delle figurazioni in caso di scene di massa. Ciò avrebbe dovuto arginare il ricorso alle tecniche di riempimento della scena mediante ripetizione computerizzata delle figure umane nella scena. Ma tale accordo ha trovato scarsa applicazione per un motivo semplicissimo: i budget a disposizione delle produzioni italiane non sopportavano neanche il ricorso a quei costi seppure ridotti (c’è da dire che non sopportavano neanche i costi del software per il riempimento computerizzato, semplicemente il cineaudiovisivo italiano ha rinunciato alle scene di massa per l’insufficienza dell’investimento produttivo). L’uso del green wall ha ridotto il ricorso a carpentieri, falegnami, pittori (che vantavano una grande tradizione cinematografica) e ha creato nuove figure di tecnici in laboratorio, senza che questa tecnologia abbia raggiunto l’evoluzione necessaria, sempre per problemi di budget. L’impatto più importante nel cineaudiovisivo lo ha avuto sicuramente la sostituzione della pellicola con le memorie rigide digitali. Il proiezionista era la figura più importante dell’organizzazione di una sala: in un giorno la professionalità di questi lavoratori si è ridotta al nulla. La tecnologia ha migliorato in maniera esponenziale la trasmissione delle scene girate e la conseguente possibilità di controllo: i cosiddetti “giornalieri”, ossia i metri di pellicola che erano stati realizzati nella giornata, venivano – non tanto tempo fa, ma ormai sembra preistoria – impacchettati alla fine delle riprese e inviati per la visione alla società di produzione per il controllo di qualità. Il superamento della pellicola consente più invii al giorno, via internet, senza attendere la fine delle riprese, con la possibilità di intervenire per ripetere la scena non soddisfacente, a vantaggio della produttività ma a svantaggio dei lavoratori sul set per l’aumento dei ritmi. Il cosiddetto “minutaggio”, i minuti di riprese effettuate nel giorno di lavoro con soddisfacente livello qualitativo, grazie a queste tecnologie è aumentato vistosamente (pur se con un abbassamento medio della qualità del prodotto e innalzamento della fatica dei lavoratori). Inoltre, è ormai consolidato l’uso di strumenti più leggeri, flessibili e compatti per effettuare le riprese. E alla tradizionale obiezione sulle qualità di queste nuove apparecchiature, ci si è dovuti arrendere di fronte a un’evoluzione straordinariamente veloce in termini di performance e risoluzione fotografica. Gli elementi mobili (carrelli, piattine, crane, dolly, ecc.) si iniziano a spostare, almeno nelle riprese effettuate in studio, con comandi remotizzati in ambiente connesso tramite wi-fi. Innovazioni importanti potranno riguardare a breve anche il doppiaggio con l’arrivo di traduttori automatici (google, per esempio) e con le sottotitolazioni (ancora molto arrangiate) affidate ad algoritmi. Ma, dietro l’angolo, si sente più spesso parlare di simulatori vocali che, oltre a mantenere adeguatamente il sincrono, riuscirebbero anche a imitare le voci originali degli attori garantendo una performante capacità interpretativa.
L’ingresso degli algoritmi
Il servizio video di Netflix ha creato 77 mila microgeneri per classificare, con precisione quasi maniacale, i gusti degli utenti. Il fine è quello di ritagliare bersagli per l’affinamento della proposta, cliente per cliente, tenendo conto delle informazioni che lo stesso cliente fornisce scegliendo i prodotti e utilizzando i tag, le parole chiave utili all’identificazione di oggetti da parte dei motori di ricerca. Le “informazioni” stanno intervenendo anche sulla scelta del regista, degli attori protagonisti, delle location. Algoritmi ormai in grado di scrivere autonomamente anche una sceneggiatura. Rispetto al loro uso nell’organizzazione del lavoro, quindi, è necessario capire che tipo di uso se ne farà, quanto potranno influire sulle scelte editoriali, qualitative e professionali, quale tipo di impatto avranno sui livelli occupazionali. In gioco non ci sono soltanto la libertà di espressione e creativa, ma anche la resistenza alla standardizzazione e alla ripetizione di temi, lo spazio d’azione professionale di tutte le categorie, fino al rispetto delle norme contrattuali e di legge in materia di diritto del lavoro. Il gruppo Uci Cinemas – la catena di multisale cinematografiche internazionale – ultimamente ha introdotto il sistema Quinyx, un software che, oltre a gestire timbrature, planning, assenze, ferie e permessi, verrà utilizzato per snellire l’attività dei manager elaborando, mediante algoritmi specifici, i dati degli spettacoli, delle vendite e delle prevendite oltre che le informazioni meteorologiche al fine di prevedere l’affluenza agli spettacoli nel modo più preciso possibile. Con ciò determinando da remoto le pianificazioni dei turni, l’uso di part-time, la necessità di ricorso al lavoro somministrato. E, probabilmente, i ritmi di lavoro di ogni addetto, con la conseguente difficoltà a individuare responsabilità nel management aziendale, perché non ci saranno soggetti materialmente raggiungibili ai quali chiedere conto.
L’intervento sindacale
Alla luce di tutto ciò, è necessario un primo intervento che consenta di stabilire una separazione netta tra orario di lavoro e orario di riposo: consolidare cioè il diritto alla disconnessione. Il tema complessivo dell’utilizzo da parte delle piattaforme orizzontali, delle Ott, in generale della committenza che usufruisce di algoritmi applicati ai big data, non può prevedere un intervento della sola parte sindacale. Su questi temi occorre stringere un patto tra datori e subordinati, poiché le scelte dei committenti influiscono in modo pervasivo sul margine di azione di entrambe le parti. Insieme, l’imprenditore e il lavoratore del cineaudiovisivo devono pretendere regole e norme per un’informazione garantita e certificata. È dunque necessario contrattare il diritto all’informazione, non solo sui dati e sul loro utilizzo, ma soprattutto per quel che riguarda gli obiettivi dell’algoritmo. Questa conoscenza – che deve anche prevedere una possibilità di intervento correttivo – diventa il fondamento per ogni successiva costituzione dei rapporti di lavoro e, in seguito, per la costruzione di ogni piattaforma rivendicativa.
Umberto Carretti è responsabile Slc Cgil settore audiovisivo