Il rilancio tanto atteso, e per il quale i lavoratori hanno già fatto sacrifici, finora non c’è stato. E non si vedono all’orizzonte quelle iniziative che potrebbero favorire uno sviluppo dell’azienda. La Gabel di Como, storico gruppo tessile nel settore della biancheria per la casa, sembra ancora immersa in una fase di difficoltà che dura ormai da alcuni anni. I 400 lavoratori e i sindacati non nascondono più le loro preoccupazioni, e per richiamare l’attenzione generale sulle sorti della società hanno indetto per oggi (mercoledì 14 febbraio) uno sciopero di due ore, con un presidio nello stabilimento principale di Rovellasca (Como) e iniziative nel sito di Buglio in Monte (Sondrio) e nei circa 40 punti vendita in tutta Italia.

“Siamo preoccupati per il perseverare di una situazione finanziaria e produttiva critica in cui ormai da molti anni versa la società” scrivono Filctem Cgil, Femca Cisl e Uiltec Uil: “A oggi non si intravedono iniziative di risanamento concrete e strutturali, nonostante i piani industriali presentati al ministero del Lavoro e la consistente ristrutturazione avviata nel 2013, con pesanti sacrifici dei lavoratori”. Un risanamento che ha previsto la chiusura del sito di Mornago (Varese), dello stabilimento di Rivanazzano (Pavia) e la parziale dismissione di uno dei due siti di Rovellasca, con relativo “massiccio ricorso alla cassa integrazione straordinaria e ordinaria, nonché la riduzione di circa un centinaio di lavoratori”.

A far precipitare la situazione è stata la decisione dell'azienda “di rifiutare il confronto per il rinnovo dell’accordo quadro sul premio variabile, che vale solo lo 0,4 per cento del fatturato, strumento funzionale al miglioramento della produttività degli stabilimenti e da sempre utile per il protagonismo e il coinvolgimento dei lavoratori nelle problematiche produttive e organizzative”. I sindacati, dunque, all’apprensione per il futuro della Gabel uniscono anche la presa d’atto del “cambio di stile nelle relazioni industriali, che storicamente hanno sempre consentito un confronto con le organizzazioni sindacali per ricercare soluzioni condivise”.

Filctem, Femca e Uiltec evidenziano che “negli ultimi cinque anni la Gabel ha dimezzato complessivamente il suo fatturato, con il 2017 che registra un calo di sei milioni di euro e perdite di quote nel mercato italiano”. A differenza del passato, rimarcano i sindacati, l’azienda “lo scorso anno ha deciso di non ricapitalizzare il patrimonio aziendale, che dichiara essere solido, e per far fronte alla carenza di liquidità ha effettuato un prestito obbligazionario non convertibile per un importo pari a tre milioni di euro, prestito erogato da persone fisiche che detengono il 100 per cento delle azioni Gabel. Un primo segnale di parziale disimpegno della proprietà”.

La Gabel, di proprietà della famiglia Moltrasio, produce anche i marchi Somma (acquisito nel 1996), Pretti (dal 2007) e Vallesusa (dal 1976). L’azienda è un classico esempio del made in Italy: produce in Italia e vende in Italia, infatti il 95 per cento del fatturato proviene dal mercato nazionale. “Riteniamo la società – concludono i sindacati – in forte ritardo sul piano di sviluppo, sugli impegni presi e sul piano di ristrutturazione, sostanzialmente fondato su importanti interventi nella ricerca e sviluppo di nuovi prodotti, l'ampliamento della rete di vendita, più volte dichiarata ma mai praticata, e il massiccio intervento di marketing per consolidare il marchio”.