Oltre 350.000 lavoratori su tutto il territorio nazionale che operano in circa 13.000 cooperative. Quello della cooperazione sociale è uno dei pochi settori in crescita anche in questi anni di crisi e opera in ambiti fondamentali per il paese: assistenza sociale, sanitaria, educativa, disagio, dipendenze, prostituzione, tratta. Nonostante questo, i soci-lavoratori di tante realtà non sempre ricevono trattamenti economici, normativi e tutele adeguate all’importanza dei servizi che offrono e che riguardano i diritti di cittadinanza di tutti noi.

Per cercare di capire meglio cosa si cela dietro tante di queste realtà e per offrire una tutela migliore la Fp Cgil ha da poco lanciato una campagna informativa che si chiama “Scoop” e che ha una sua pagina Facebook in cui vengono raccontate storie, iniziative e necessità di un popolo variegatissimo. “Questi lavoratori – spiega Denise Amerini, responsabile del settore per la Fp Cgil – si occupano di persone che difficilmente troverebbero i loro bisogni accolti dal sistema pubblico”. La storia è nota: via via negli anni lo Stato si è chiamato fuori da pezzi sempre più consistenti di welfare e sanità, preferendo esternalizzare e appaltare molti servizi.

L'inchiesta in podcast

Appalti e subappalti che, dovendo competere al ribasso, finiscono per pesare spesso sui dipendenti: dalla perdita del lavoro stesso nella successione delle cooperative appaltatrici, fino alla decurtazione di stipendi e diritti. L’aggravante è che in questi casi il committente, l’appaltatore o chi stipula la convenzione non è neanche un’azienda privata, ma un ente pubblico. Ecco, quindi, che diventa fondamentale l’esigibilità, non sempre possibile, della clausola sociale, che dovrebbe garantire l'occupazione anche in caso di cambio di appalto, e della responsabilità solidale: “È il tema – aggiunge la sindacalista – del secondo dei referendum proposti dalla Cgil. Se è vero che spesso le stazioni pubbliche appaltanti non pagano le cooperative e che queste, dunque, si trovino in oggettiva difficoltà nel pagare i lavoratori, succede anche che cooperative poco trasparenti – lo abbiamo visto con Mafia Capitale – pur ricevendo regolarmente i pagamenti siano inadempienti con i lavoratori. Ecco, in questo caso, è chi appalta che dovrebbe risponderne e pagare gli stipendi”.

Tanti anni in appalto
Un esempio significativo di ciò che può accadere quando l’unico obiettivo dell’esternalizzazione è quello risparmiare il più possibile arriva dall’Ospedale San Giovanni Addolorata di Roma. Cento operatori socio-sanitari, che lavorano in questa realtà anche da 15 anni, hanno da poco subito le conseguenze di un cambio di appalto. Una vicenda amara, che ci racconta uno dei cento, Umberto Dulizia: “Prima della fine dell’anno c’è stato un passaggio di gestione. Siamo così transitati in un’altra cooperativa, la Pg Melanie Klein. Abbiamo mantenuto il posto, ma l’ospedale ha assegnato il servizio con un ribasso del 40 per cento che si è tradotto linearmente in un taglio secco dell’orario di lavoro: da 26 a 21 ore settimanali. Il che, tradotto, vuol dire trovarsi all’improvviso da uno stipendio di 1.100 euro a poco più di 600. Molti di noi sono costretti a cercarsi un altro lavoro: così non ce la si fa”. Dopo li sciopero del 23 gennaio, il 31 gennaio è stato raggiunto un accordo tra le organizzazioni sindacali e la cooperativa nel quale si prevede per questi lavoratori la contrattualizzazione temporanea a 26 ore settimanali per il mese di febbraio e 27 ore settimanali per i mesi di marzo e aprile. Non è ancora, però, una soluzione definitiva e per questo i sindacati hanno deciso di mantenere lo stato di agitazione sino a quando l'aumento di ore sarà strutturale e definitivo.

LE ALTRE INCHIESTE

Queste situazioni capitano spesso. Tecnicamente magari questi appalti non sono definibili come “al massimo ribasso”, ma di fatto lo sono e gli unici costi che si vanno a comprimere, in settori come questi, sono quelli del lavoro. “Naturalmente – riprende Amerini – ci sono cooperative più serie che provano in qualche modo ad arginare i danni di queste dinamiche, ma anche tante altre che invece partecipano a qualsiasi gara pur di entrare in un servizio, senza preoccuparsi delle condizioni effettive di lavoro. Per questo la normativa sugli appalti, i referendum e le proposte della Carta dei diritti universali del lavoro, sono così importanti per la cooperazione sociale”.

Quando gli appalti sono di fatto al massimo ribasso a essere compromessi sono i diritti e gli stipendi dei lavoratori

La contrattazione
Oltre alla necessità di una normativa stringente sugli appalti (il quesito referendario proposto dalla Cgil chiede di abrogare una parte del dlgs 276/2003 relativo alla legge 30 del 2003), un ruolo importate lo svolge ovviamente anche la contrattazione: sia nazionale che di secondo livello. Sul primo punto, il Ccnl della cooperazione sociale è scaduto nel 2012. La trattativa con le controparti è partita a dicembre: i sindacati chiedono 110 euro di aumento e miglioramenti importanti sul piano normativo: malattia, maternità, formazione, diritti sindacali “L’ambizione – spiega la dirigente Fp Cgil – è quella di arrivare a un contratto unico di settore: siamo ormai a una situazione in cui le differenze esistenti tra i diversi contratti che pure normano lavori e professioni molto simili non sono più sostenibili”.

Ma c’è anche tutta un’attività di contrattazione territoriale che, pur tra tutte queste difficoltà, i sindacati portano avanti cogliendo anche risultati importanti. In Piemonte, ad esempio, in accordo con la Regione i sindacati hanno contribuito a definire delle linee guida che offrano garanzie negli  appalti: “In caso di cambio di appalto, vengono riconosciute le clausole sociali e l’obbligo di applicazione del contratto di lavoro di lavoro di miglior favore e sottoscritto dalle organizzazioni sindacali più rappresentative a livello nazionale – spiega Gabriella Semeraro, della Fp Cgil regionale –. In più abbiamo introdotto un nuovo istituto: quello della contrattazione d’anticipo con la Regione, mentre viene superato il contratto a tutele crescenti del Jobs Act: ai lavoratori cioè si continua ad applicare lo Statuto dei lavoratori, compreso naturalmente l’articolo 18”. Importanti anche, aggiunge Semeraro, “le regole che fissano i criteri di aggiudicazione nelle gare e che superano il massimo ribasso: il ‘prezzo’ conta solo per il 20 per cento, mentre la qualità dei servizi acquistati vale per l’80 per cento”.

Il contratto di lavoro è scaduto nel 2012, a dicembre è partita la trattativa per il rinnovo

Esperienze interessanti, nel settore educativo, vengono anche da Ferrara, dove tra l’altro le Rsu sono state elette a novembre 2016 in quasi tutte le cooperative sociali della provincia e con un ottimo risultato per la categoria dei pubblici della Cgil, che ne ha “conquistate” 101 su 108. “Anche nella mia realtà – spiega Luca Greco, educatore e sindacalista della Fp Cgil – il cambio d’appalto è la fase cruciale: nessuna norma garantisce infatti il mantenimento dei diritti acquisiti. Il settore educativo, poi, è ancora meno tutelato di quello socio-sanitario che in alcune regioni ha qualche prerogativa in più grazie all’accreditamento che tutela meglio questi passaggi”. Come è noto, infatti, in caso di cambio d’appalto Il Jobs Act non prevede deroghe: i lavoratori, anche se riassunti, perdono i diritti acquisiti, anche se continuano a fare lo stesso lavoro che svolgoo da anni: “In alcuni casi – racconta Greco – siamo riusciti a firmare accordi favorevoli con singole cooperative grazie ai quali il diritto al reintegro in caso di licenziamento illegittimo viene conservato. Ma è chiaro che non basta: se le norme non cambiano, in poco tempo un gran pezzo del mondo del lavoro perderà il diritto alla reintegra”.

Dove va la cooperazione
Le cooperative sociali non sono cooperative come le altre. Le cooperative tradizionali, ad esempio quelle di produzione e consumo, nascono per soddisfare il bisogno dei soci, offrendo loro beni e servizi o occasioni di lavoro a condizioni più vantaggiose rispetto a quelle disponibili sul mercato. Le cooperative sociali vanno oltre: il loro obiettivo non è solo quello di soddisfare i bisogni dei soci proprietari, ma anche quelli collettivi, e con un forte radicamento nelle comunità locali. A venticinque anni di distanza è ancora così? Non sempre. Anche in questo campo operano infatti sempre più spesso veri e propri colossi che si muovono come grandi aziende tradizionali a caccia di affari.

“Nella nostra cooperativa – racconta Claudio Cippitelli, socio fondatore della romana Parsec – tutti si conoscono, il presidente ha una retribuzione simile a quella degli operatori, la porta del suo ufficio è sempre aperta. Ecco, non sempre è così e io penso che la cooperazione dovrebbe rivendicare con maggiore forza il ruolo sociale per cui è nata”. In alcuni casi, la perdita di questi legami con il senso delle proprie origini ha portato anche al coinvolgimento in derive criminali come quelle di Mafia Capitale. “Non basta dire ‘noi non siamo Mafia Capitale’ – attacca Cippitelli –. Noi tutti avremmo dovuto fare una battaglia più chiara rispetto a quanto stava accadendo”.

Anche prescindendo dai gravi fenomeni corruttivi di questo tipo, uno dei problemi seri riguarda, appunto, la dimensione delle cooperative, spesso ormai fuori controllo. A farne le spese soprattutto le cooperative sociali più piccole, quelle di tipo B, che avviano al lavoro soggetti socialmente o psicologicamente svantaggiati. “Anche questo tema è presente nell’accordo siglato con la Regione Piemonte – riprende Semeraro –. La Regione dovrà prevedere appalti specifici per loro. Cosa succedeva, infatti? Faccio un esempio. Nell’appalto per le pulizie nelle scuole pubbliche il governo ha deciso di utilizzare la Consip (la società che acquista beni e servizi per la pubblica amministrazione, ndr): il risultato è che la gara è stata vinta da una grande azienda che poi ha appaltato ad altre cooperative che, a loro volta, hanno dato lavori in subappalto ad altre cooperative ancora".

Nel settore operano ormai realtà enormi, vere e proprie grandi aziende che hanno perso i legami con lo spirito originario della cooperazione

Questa filiera così lunga fa sì il che il 18 per cento del costo dell’appalto finisca in spese di gestione e che, alla fine, rincara la sindacalista, “a essere fortemente penalizzati sono i lavoratori in termini di orari e salario: hanno, infatti, subìto una decurtazione del 50 per cento del proprio stipendio”. E così torniamo alla logica perversa della catena degli appalti. “Le cooperative sociali sono nate avendo come scopo la promozione sociale in un forte legame con il territorio e con il fondamentale coinvolgimento dei soci lavoratori – conclude Amerini –. La democrazia partecipativa al loro interno è dunque fondamentale. Ma come si può realizzare in realtà enormi, che magari hanno la testa in Piemonte e operatività nelle Marche o in Toscana”?