La Cut (Central Única dos Trabalhadores) è sempre stata l’alleato naturale del Pt (Partido dos Trabalhadores). Nata il 28 agosto del 1983 di fatto da una costola del partito, fondato a sua volta nel 1980, non poteva che sostenere i diversi governi che si sono susseguiti in questi ultimi 16 anni in Brasile. È il quinto sindacato più forte nel mondo e conta oltre 23 milioni di lavoratori e lavoratrici che la sostengono, il 36 per cento di tutti i sindacalizzati del paese. Nel corso della sua storia non sono mancate le scissioni. Nel 2004 nasceva la Cnt (Coordinamento nazionale delle lotte, che chiedeva un confronto più duro con il governo), e l’anno seguente la Iloct (Strumento di lotta e organizzazione della classe lavoratrice) di matrice comunista. E per contrastare la stessa Cut nel 1991 veniva fondata Força Sindical, un sindacato meno politicizzato, se così possiamo dire, e più legato al raggiungimento di determinati obiettivi, che oggi conta oltre 8 milioni di associati.

Il sostegno dell’ex organizzazione di Lula, allora leader dei metalmeccanici brasiliani, ai vari governi amici non ha tuttavia significato un atteggiamento acritico. Tutt’altro. È stato grazie alle battaglie sindacali che il salario minimo è passato dai 100 euro (equivalenti) del 2002 ai 300 attuali. Grande è stato anche l’impegno della Cut per la riduzione dell’orario di lavoro a 40 ore settimanali, anche se il risultato auspicato non è stato raggiunto. Quando poi in prossimità dei Mondiali di calcio, parliamo della scorsa estate, si è fatta via via più forte la ribellione della popolazione contro lo sperpero di denaro pubblico investito per la manifestazione sportiva – costi triplicati o quadruplicati rispetto alle risorse stanziate all’inizio per la costruzione dei nuovi stadi – il principali sindacato del paese non è stato certo a guardare. Subito il presidente nazionale della Cut, Vagner Freitas, ha invitato i propri iscritti a partecipare alle manifestazioni di piazza, e l’11 luglio scorso, insieme a Força Sindical e altri sindacati, ha lanciato una giornata nazionale di lotta con scioperi e manifestazioni in tutto il paese.

L’obiettivo principale della mobilitazione era il ritiro del progetto di legge sulle esternalizzazioni, provvedimento considerato un attacco ai diritti dei lavoratori e un’ulteriore precarizzazione del lavoro in Brasile. Fra le altre rivendicazioni figuravano la richiesta di non procedere a tagli della spesa sociale per compensare la riduzione delle tariffe dei trasporti, di stanziare il 10 per cento del bilancio statale per la sanità pubblica, il 10 per cento del Pil per l’istruzione e l’educazione, di migliorare il meccanismo di calcolo previdenziale, di ridurre l’orario di lavoro a 40 ore settimanali a parità di salario, nonché quella di varare una serie di riforme: da quella tributaria in senso progressivo, a quella agraria alla revisione delle procedure di appalto nell’industria petrolifera.

Non tutti questi obiettivi sono stati raggiunti, ma restano intatti nell’agenda sindacale come pure negli intenti del governo. La Cut ha piena consapevolezza della difficoltà della sfida che l’attende: “Le elezioni del 2014 – dice Paulo Cayres, presidente della Confederazione nazionale dei metalmeccanici della Cut – passeranno alla storia del nostro paese come le più combattute dopo il ritorno della democrazia. Tra il primo e il secondo turno elettorale il dibattito ideologico si è inasprito e la rielezione della presidente Dilma Roussef, fondamentale per poter continuare nel progetto politico sostenuto dai lavoratori, ci mette di fronte a sfide ancora più impegnative. A cominciare dal rapporto con il Congresso nazionale, che a partire dal 2015 sarà molto più conservatore di quello precedente. Sarà dunque necessaria una mobilitazione ancora più forte per avanzare nei nostri obiettivi”.

Alla Cut non sfugge neppure la necessità di una riforma della politica che garantisca la presenza di tutti i segmenti sociali nelle assemblee legislative. “Per noi – sottolinea Cayres – la fine del finanziamento privato delle campagne elettorali è la condizione perché gli eletti non siano in maggioranza i rappresentanti delle classi più ricche. I movimenti sociali e i sindacati devono avere più interlocutori nel Parlamento brasiliano. Oggi – aggiunge il presidente della Cut – è il denaro che vince le elezioni. I cittadini comuni non hanno la possibilità di partecipare e ancor meno di vincere perché non hanno le risorse necessarie. Con la fine del finanziamento privato le risorse dovranno essere divise in forma democratica tra i partiti, per una competizione fra uguali che renda possibile alla diversità e pluralità della società brasiliana di essere rappresentata nelle istituzioni pubbliche a tutti i livelli”.

La battaglia in corso in Brasile ci dà molti elementi di riflessione.