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Essere informati della propria situazione previdenziale è un diritto. Un diritto di tutti i lavoratori e, più in generale, di ogni persona iscritta a un regime di sicurezza sociale. Che non attiene soltanto alle regole generali del sistema pensionistico a cui si afferisce, ma più precisamente alla propria situazione personale, passata, presente e – soprattutto – futura. E più precisamente al legame esistente tra lavoro, versamenti contributivi e importo della pensione.
La parola “pensione” sta diventando, infatti, sempre più sinonimo d’incertezza: un numero crescente di persone non ha neppure una vaga idea di quando raggiungerà il traguardo dell’età pensionistica, dell’importo della prestazione che riceverà una volta raggiunta l’età della pensione, e se percepirà davvero una prestazione in denaro alla fine della propria carriera lavorativa. La crisi economica e finanziaria, con le politiche di austerità e con le riforme dei sistemi pensionistici, che in tutti i paesi si sono susseguite a catena, non ha fatto che aggravare questa situazione e rendere l’incertezza più vasta e più profonda.
Ed è proprio sotto gli effetti della crisi che questo diritto all’informazione sta prendendo sempre più corpo nei paesi dell’Unione europea, fino a diventare a tutti gli effetti una vera e propria “missione” degli istituti previdenziali. In un certo senso, è come se questi cercassero di arginare il danno, restituendo – sotto forma di informazione – una parte almeno di quello che i propri assicurati hanno perso, o perderanno, in denaro. In linea di principio, un esercizio di trasparenza da parte dell’amministrazione dello Stato e anche un modo per responsabilizzare l’assicurato.
Nei momenti di congiuntura favorevole, soprattutto, e quindi di maggiore sicurezza economica, attraverso l’informazione il lavoratore prende conoscenza della propria situazione previdenziale e viene sollecitato a fare delle scelte maggiormente consapevoli circa lo sviluppo della propria carriera: interruzioni, tempo parziale, cambiamenti di regime, contributi volontari, previdenza complementare ecc. La gestione dell’informazione tende invece a diventare più delicata e opaca nei momenti di crisi e di incertezza economica.
Il surplus d’informazione – se viene dispiegato – finisce spesso per essere un modo per rassicurare i futuri pensionati, per creare consenso attorno alle riforme e legittimare, quindi, il sistema in vigore. Ma quando si manomette continuamente la normativa previdenziale, come succede da tempo in Italia, con scelte contraddittorie e confuse, togliendo peraltro ogni residuo di flessibilità in uscita dal lavoro (vedi la legge Monti-Fornero), l’informazione previdenziale diventa un’operazione abborracciata, che alimenta sentimenti di delusione e di rabbia contro la classe politica, incapace di imprimere un orientamento omogeneo alle scelte legislative, spesso dettate dal bisogno di far quadrare i conti del bilancio dello Stato, senza considerare gli altri indicatori, come la disoccupazione e la scarsa occupabilità dei giovani (in Italia, i Neet sono oltre due milioni di persone).
Può essere utile allora, mentre 150mila cittadini italiani stanno per ricevere la loro prima “busta arancione”, fare una rapida ricognizione di come gli altri Paesi europei hanno affrontato la medesima questione prima di noi. A partire dalla Svezia, dove nel 1999 la “busta arancione” è nata, per creare maggior consenso attorno a un’importante riforma delle pensioni, diventando poi un esempio per molti altri paesi. Con questo sistema l’agenzia svedese delle pensioni trasmette automaticamente ogni anno a tutti i cittadini residenti, a partire dall’età di 28 anni, l’estratto conto della propria pensione, comprensivo di una stima dell’importo della rendita futura basata su tre ipotesi di età anagrafica al momento della pensione (a 61, 65 o 70 anni) e su due ipotesi di andamento dell’economia (crescita compresa tra 0% e 2%).
Non solo. La Svezia è anche il Paese con la più alta percentuale di persone aventi accesso a Internet (insieme a Danimarca e Paesi Bassi), e dove molte pratiche con la pubblica amministrazione sono svolte a distanza. La stessa “busta arancione” contiene anche le istruzioni per accedere al sito Internet della cassa di previdenza e da lì consultare la propria situazione previdenziale o comunicare con gli uffici competenti. Dal 2004, un servizio Internet dedicato (www.minpension.se) permette a tutti di fare delle simulazioni personalizzate della propria rendita di vecchiaia, tenendo conto anche dei vari regimi complementari.
In Finlandia, invece, una “busta bianca” viene mandata per posta ordinaria, o per email (secondo la scelta dell’interessato), a partire dall’età di 18 anni. E al compimento dei 50 anni di età, l’informazione comprende anche una simulazione dell’importo della pensione, stimando tre diverse età di pensionamento – a 63, 65 o 68 anni –. Nello stesso Paese, tutti i cittadini possono accedere a un “registro centralizzato dei diritti” (www.tyoelake.fi) che, oltre ai contributi assicurativi versati, tiene conto anche di altre prestazioni sociali, come borse di studio e disoccupazione, che possono influire sul calcolo individuale della pensione.
In Danimarca, oltre al riepilogo della situazione previdenziale che viene automaticamente inviato ogni anno, la base dati on-line www.pensionsinfo.dk permette a ogni cittadino di accedere ai propri dati previdenziali e di simulare su questa base il proprio futuro pensionistico.
Anche in Germania, un’informazione annuale personalizzata viene mandata automaticamente, dall’età di 27 anni, a ogni lavoratore dipendente, del pubblico e del privato, con almeno cinque anni di contributi previdenziali. Oltre all’estratto contributivo, l’informazione contiene una stima dell’importo probabile della pensione a 65 anni, in funzione di tre ipotesi di evoluzione del salario: nessun aumento rispetto alla media dei cinque anni precedenti, aumento medio del 1% o ancora del 2%. Oltre a questo riepilogo annuale, dai 55 anni in poi tutti gli assicurati ricevono ogni tre anni delle informazioni più dettagliate sulla propria situazione previdenziale. E, in ogni caso, tutte queste informazioni sono anche consultabili sul web, oppure per telefono per coloro che non hanno facilmente accesso a Internet.
Con la riforma delle pensioni del 2003 (legge Fillon) anche in Francia è stato introdotto l’obbligo di fornire a tutte le persone di età superiore a 34 anni un’informazione periodica sui propri diritti alla pensione. Diversamente dagli altri Paesi, la periodicità dell’informazione non è annuale, ma quinquennale. Ogni cinque anni, la Cassa francese di assicurazione per la vecchiaia (Cnav, Caisse national assurance vieillesse) fornisce quindi all’interessato tutti gli elementi necessari a conoscere e valutare i propri diritti previdenziali, come il saldo dei propri versamenti contributivi e il calcolo della pensione futura in funzione dell’età di uscita dal lavoro.
Lo stesso avviene anche per la previdenza complementare, che in Francia è obbligatoria. Oltre che con questa procedura automatica, l’interessato può richiedere le stesse informazioni nei modi tradizionali, ottenendo la risposta entro la settimana. Questo sistema di “informazione anticipata”, frutto del negoziato tra governo e sindacati, ha ridotto notevolmente gli spazi di conflitto tra lavoratori e casse di previdenza, peraltro anche in precedenza non così frequenti come in Italia, e generalmente circoscritti a problemi di omissione contributiva da parte del datore di lavoro.
Il sistema sociale del Regno Unito si basa su una consuetudine storicamente radicata nella cultura liberale anglosassone, di fondamentale trasparenza e lealtà nei rapporti tra pubblica amministrazione e cittadino. Il principio di fondo è che lo Stato debba essere per il singolo cittadino attore e garante della tutela dei diritti individuali, e non la sua controparte. Per quanto riguarda le imposte, ogni anno, ad aprile, l’amministrazione statale competente (Island Revenue) fa recapitare a ogni lavoratore, tramite il suo datore, il formulario P60, che contiene il riepilogo delle tasse già pagate durante l’anno fiscale, dei versamenti per la previdenza complementare, delle deduzioni e delle somme ancora da versare.
Nel campo della previdenza sociale, è il ministero del Lavoro e delle Pensioni (Department for Work and Pensions) che informa i lavoratori sui propri diritti o che, addirittura, li consulta sui cambiamenti legislativi a venire. Tale approccio riduce e previene possibili contestazioni e contenziosi tra il cittadino e la macchina dello Stato. Non esiste però un dispositivo comparabile alla busta arancione svedese. Un’informazione dettagliata viene infatti inviata per posta, a tutti gli assicurati, soltanto sei mesi prima dell’età legale della pensione.
Altrimenti, per informare i propri assicurati il Regno Unito mette a disposizione due strumenti principali: le State Pension Profiler e lo State Pension Forecast. Il primo è un simulatore on-line che permette di stimare di massima, e rapidamente, il proprio diritto alla pensione legale. Il secondo strumento, disponibile anche tramite telefono o posta, è meno rapido, ma fornisce una stima più precisa e comprende anche la pensione complementare.
In Belgio, tra il 1997 e il 2005 era in vigore il sistema Service Info-Pension. In pratica, dall’età di 55 anni il lavoratore poteva richiedere una stima del trattamento pensionistico atteso a legislazione costante. Il servizio raccoglieva le informazioni dai diversi regimi previdenziali e forniva una stima complessiva della prestazione. In seguito, il sistema è evoluto, sulla base di un principio stabilito nel 2005 (Patto di solidarietà tra le generazioni) secondo cui chiunque lo desideri deve poter ottenere il calcolo individuale della propria pensione, quale che sia la sua carriera.
Diversamente dagli altri Paesi, l’obiettivo non era rassicurare o creare consenso (in Belgio non era in corso alcuna riforma delle pensioni in quel momento), ma scoraggiare la pensione anticipata e innalzare il tasso d’occupazione. Oggi, a partire dai 55 anni di età, il calcolo deve essere fatto e trasmesso automaticamente a tutti gli assicurati, anche se con carriere brevi e frammentate. Cinque anni prima dell’età della pensione, il lavoratore può inoltre chiedere una stima della propria posizione previdenziale, o può calcolarla lui stesso su www.toutsurmapension.be. Quest’ultima soluzione sembra la più apprezzata, poiché circa un milione di simulazioni vengono calcolate in questo modo ogni anno.
In conclusione, malgrado le naturali differenze, dovute per lo più alla diversa natura dei sistemi previdenziali, i Paesi che hanno messo in piedi prima dell’Italia dei sistema informativi individuali sulle pensioni utilizzano strategie grosso modo analoghe, basate sulla combinazione di più strumenti di comunicazione (di persona, per telefono, per posta, per email, on-line), e su almeno quattro grandi dispositivi: l’informazione su domanda, una stima tramite un servizio telematico dove la persona inserisce essa stessa i propri dati, trasmissione automatica di informazioni (modello della “busta arancione”), messa a disposizione di basi dati on-line di facile consultazione, contenenti informazioni personali sulla carriera lavorativa e sulle varie prestazioni sociali, con possibilità d’interazione diretta con l’amministrazione (e-government).
In quasi tutti i Paesi l’informazione individuale è stata introdotta in occasione di importanti riforme del sistema pensionistico, ed è un elemento chiave della buona riuscita delle riforme stesse, almeno sul piano del consenso sociale. La popolazione interessata si preoccupa infatti naturalmente dell’impatto che queste hanno o avranno sui diritti individuali alla pensione. Per questa ragione, in genere quest’informazione viene integrata nelle lettere informative annuali.
In Germania, per esempio, la lettera annuale spiega esplicitamente l’impatto che le misure di riforma avranno sull’importo della pensione di ciascun destinatario. Altri Paesi selezionano, invece, i gruppi di popolazione che saranno maggiormente colpiti dalle riforme, per rivolgere loro un’informazione più precisa. È il caso del Regno Unito, dove in occasione della riforma del 2007, quella che ha introdotto la parità di età pensionabile per uomini e donne (parità da raggiungere entro il 2020), il servizio nazionale delle pensioni ha contattato per posta 1,7 milioni di donne, selezionandole tra quelle che – in funzione della loro età e della loro carriera – sarebbero state maggiormente penalizzate dalla riforma.
Carlo Caldarini è direttore dell’Osservatorio Inca Cgil per le politiche sociali in Europa