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Era uno dei confronti più attesi delle Giornate del Lavoro e le scintille non sono mancate tra il ministro del Welfare, Giuliano Poletti, e il segretario confederale della Cgil Nino Baseotto, l'uno di fronte all'altro sul palco del Salone dei Duecento di Palazzo Vecchio. L'unico punto condiviso fra i due è constatare quanto sia drammatico il quadro attuale dell'occupazione. Sulle contromisure, invece, la distanza tra esecutivo e sindacato - anche dopo il varo dei nuovi decreti sul Jobs Act - resta immutata.
In mezzo ai due, il presidente della Commissione episcopale della Cei, Giancarlo Maria Bregantini, che ha contribuito al dibattito con una serie di riflessioni sull'etica del lavoro: “L'economia – ha detto – deve essere considerate all'ultimo livello della società, non al primo. Per esempio, i centri commerciali aperti la domenica sono devastanti, non tanto per la messa domenicale, quanto per le famiglie, che vogliono ridurre ad un ruolo meschino”.
“Dobbiamo prendere atto di una situazione difficile, da un certo punto di vista terribile”, è il ragionamento di partenza del ministro il quale non si esercita in previsioni: “So soltanto che abbiamo alle spalle vent'anni di guai, errori e scelte sbagliate. La nostra intenzione è cambiare radicalmente il quadro per gestire il cambiamento”. “Le nostre critiche all'insieme del Jobs Act - precisa Baseotto - sono ben note. Noi proponiamo almeno due cose: garantire il ruolo del contratto nazionale; un nuovo Statuto dei diritti delle lavoratrici e dei lavoratori che guardi anche al lavoro autonomo”.
Il tema della precarietà è per entrambi la vera nota dolente del mercato del lavoro, ma la Cgil non condivide le scelte del governo in questo campo. “Perché – qui Baseotto si rivolge direttamente a Poletti – avete mantenuto la lunga pletora di tipologie contrattuali? Il macigno più grande sulla strada della ripresa è il tasso di disoccupazione giovanile. O si cambia verso alla politica economica, oppure questo paese non ha un grande futuro. Le risorse ci sono. Bisogna investirle, anche nel pubblico”.
“Siamo intervenuti sul contratto a tutele crescenti – replica il ministro –. Vogliamo che il lavoro a tempo indeterminato costi strutturalmente di meno affinché torni a essere la tipologia principale. Che oggi sia solo al 15 per cento è aberrante. Una situazione che ha danneggiato i giovani non in condizione di progettare niente, e anche l'impresa ci perde perché non investe su quella persona”.
In tema di giovani, ma non solo, Poletti conferma l'impegno sui Centri per l'impiego: “Abbiamo stanziato 70 milioni, prima non c'era nulla. Poi ci sono le competenze delle Regioni con le quali mettersi d'accordo, ma un primo passo è stato fatto”. “Se però - replica Baseotto – in tema di politiche attive l'unica misura concreta è il contratto di ricollocazione, rischiamo di dover ricorrere ancora una volta ai voucher” che invece “andrebbero aboliti del tutto”.
Sul salario minino è confermato il passo indietro del governo: “Nella delega al Jobs Act c'era l'ipotesi di introdurlo – sottolinea il titolare del Welfare – ma poi abbiamo deciso di non farlo. Nel panorama italiano avrebbe avuto un effetto destabilizzante per la contrattazione” nella quale “le parti sociali hanno un ruolo e una responsabilità”.
Sul tavolo anche gli incentivi per gli over 50. Sostiene Poletti che “è forse troppo ampia come fascia d'età: un conto è aiutare chi è vicino alla pensione, altra cosa è chi ha ancora davanti tanti anni di attività. Ma qualcosa si può fare. In Italia abbiamo inventato i lavori socialmente utili a 700 euro al mese per i giovani, si potrebbero coinvolgere i disoccupati avanti con gli anni, anche per non lasciari a casa a sentirsi inutili”.
Inevitabilmente si finisce a parlare della legge Fornero. “Troveremo i modi per la flessibilità in uscita – è l'impegno del ministro – Non possiamo però produrre altro debito da scaricare sulle nuove generazioni. Interverremo nella legge di Stabilità con questo vincolo”.
La flessiblità in uscita “sarebbe utile – precisa Baseotto – tuttavia le soluzioni svedesi nel mercato del lavoro italiano non funzionano. Serve una revisione profonda della legge Fornero, bisogna riattivare il circuito virtuoso dell'ingresso nel lavoro, e qui torna il tema della formazione. Certo, le parti sociali devono fare il loro mestiere. Noi vogliamo creare il rapporto più positivo possibile con la Cisl, la Uil e gli interlocutori delle imprese. Per dialogare, però, non possiamo essere solo noi, l'altra parte deve fare di più”. (M.M.)