“Con industrie di tali dimensioni, in altri paesi parlano i governi. Quello che manca in Italia è una strategia. E allo stesso tempo serve un piano industriale specifico per Fca. Due temi collegati per i quali non c'è un tempo infinito. Di lavoro da fare ce n'è molto”. Così il segretario generale della Cgil Susanna Camusso ha chiuso un'assemblea della Fiom con i lavoratori Fca che si è svolta a Napoli. “Non c'è dubbio – ha osservato – che gli operai siano preoccupati, come dobbiamo essere seriamente preoccupati per le alleanze internazionali che si stanno determinando in particolare in Europa rispetto alle quali Fiat è esclusa. Come sempre, si pone un tema al quale Fiat è sfuggita, cioè quale sia il piano industriale, quali sono i modelli che si produrranno”. Una necessità che emerge anche alla luce delle ultime dichiarazioni dell'amministratore delegato del gruppo Sergio Marchionne, per il quale la produzione di Panda dal 2018 non sarà più negli stabilimenti di Nola e Pomigliano d'Arco, ma in Polonia.

Nel quadro generale della contrattazione, non solo in Fca, i due grandi temi su cui insistere, ha osservato il leader della Cgil, sono salario e democrazia. Quanto al primo, Camusso ha ricordato che i lavoratori italiani sono quelli che guadagnano meno a parità di condizioni rispetto al resto d'Europa e che in questi ultimi anni i nostri salari si sono rapidamente impoveriti. Uno scenario in cui “il lavoro povero – ha aggiunto l'esponente della Cgil – non ha avuto alcun beneficio, nemmeno dai famosi 80 euro”. Insieme a questo va contrastata la scelta politica di voler sostituire il salario con il welfare, “dove welfare mescola i buoni benzina e la sanità integrativa, mettendo a rischio l'universalità del nostro sistema sanitario. Vale anche per la formazione”. Secondo tema di ordine generale, la democrazia: “Come dice la Carta dei diritti universali del lavoro, dobbiamo introdurre un elemento per misurare le controparti, cosa peraltro fondamentale in Fca. La frattura verticale delle associazioni datoriali è evidente e indebolisce i contratti”. Senza dimenticare che “Fca è diventata troppo piccola per essere un produttore globale. Quello nato come un processo di grande industrializzazione, favorito al tempo dal governo Obama, oggi non trova molte porte aperte. E i nostri governi non fanno politica industriale di questo tipo ormai dagli anni 90”.

Il segretario generale della Fiom Maurizio Landini nel suo intervento ha ricordato che “siamo in una fase di grandi cambiamenti per il settore delle auto, e non solo in Italia. Ma, a differenza di quanto accade in altre realtà, “i governi che si sono susseguiti si sono limitati sempre a dire che erano d'accordo con tutto ciò che veniva proposto dal gruppo, anche quando si trattava di cose diverse, ogni sei mesi o ogni anno. Rispetto al 2018 l'azienda ne sta dicendo tante – ha aggiunto –. Il capo della finanziaria che controlla tutto il gruppo ha dichiarato che non ci sarà neanche più Marchionne dal 2019. Quindi è chiaro che siamo in una fase di grandi cambiamenti". Ma senza, appunto, denuncia il sindacalista, un’indicazione strategica preciso su cosa avverrà. A questo proposito, “aver annunciato che la nuova Panda si farà in Polonia, senza dire qui quale nuovo modello ci sarà, dovrebbe preoccupare tutti”.

"Mi pare – ha argomentato il leader della Fiom – che adesso ci sia un silenzio preoccupante, perché il settore dell'auto in tutto il mondo è in una fase di grandissima riorganizzazione e concentrazione e Fca ha bisogno strategicamente di fare un'altra alleanza. In più sussiste tutto il problema che riguarda i nuovi prodotti". Landini ha poi ribadito la preoccupazione per gli stabilimenti di Nola e Pomigliano d’Arco: "Prima di fare mobilitazioni generali vorremmo poter discutere sulle nuove strategie e su cosa succede nella produzione dell'auto e su tutto il settore della componentistica". La prospettata cessione della produzione dei modelli Panda alla Polonia "è un tema che dovrebbe essere oggetto di una discussione che coinvolga direttamente il governo e che chiarisca le scelte del gruppo. Credo che tutto dovrebbero riflettere sul fatto che ridurre i diritti e i salari, come è avvenuto, non serve a far ripartire l'economia. Anzi, serve semplicemente a far stare peggio chi lavora e a far arretrare il paese".