Se si decide di licenziare i delegati solo perché sono della Cgil, se si apre la guerra tra lavoratori sotto la minaccia del posto di lavoro, se ai lavoratori si impone di non riconoscere una rappresentanza sindacale solo perché sostiene il rispetto degli accordi e della legalità, se a un lavoratore gli si dice o fai come ti dico o ti sparo vuol dire che non c'è nessun spazio di mediazione sociale che tenga.

Questo rischia di essere un punto di non ritorno dal quale le rappresentanze del lavoro, sociali, d'impresa, politiche, istituzionali devono prendere la distanza, contribuendo a mettere in atto tutto quanto possibile per ridare dignità al lavoro e qualità al prodotto, in un sistema relazionale e di convivenza che sia in grado di garantire uno sviluppo sostenibile come quello previsto dal Patto per il Lavoro sottoscritto in Regione Emilia Romagna.

In una Regione dove l'eccellenza del sistema di relazioni e della qualità delle produzioni ha permesso di “sopportare” una crisi senza precedenti, dove contestualmente in tutta la sua virulenza è stata resa evidente, con l'inchiesta Aemilia, l'infiltrazione della malavita organizzata e della mafia nel sistema economico e produttivo, non sono più accettabili e sopportabili soggetti che “investono” sulla mancata applicazione dei contratti, sulla mancata applicazione delle leggi per competere sul mercato, accompagnando queste scelte anche con le minacce ai lavoratori: ti sparo se non fai quello che dico io.

Parliamo di chi ad esempio usa la “trasferta italia” per pagare i lavoratori, evadendo tasse e contributi, esponendo i lavoratori stessi a pesanti indebiti fiscali dopo i giusti accertamenti della Guardia di Finanza. Parliamo di chi ad esempio fa lavorare 16 ore al giorno quei lavoratori che non protestano e lascia a casa chi protesta. Parliamo di chi rinnova ogni anno gli appalti con cooperative di comodo utilizzando il cambio appalto per selezionare il personale: se ti lamenti non lavori più.

Per queste ragioni, e non per altro, non abbiamo mai accettato di sacrificare sull'altare della competizione la legalità, i contratti, la dignità di chi lavora, denunciando e segnalando agli organismi competenti tutte le situazioni illegittime e illegali. Qualche detrattore della Cgil deve spiegare perché in diverse aziende del distretto delle carni modenese si fanno gli accordi anche con la Cgil, come ad esempio la Fimar, e in alcune aziende se mai si raggiungono accordi poi si fa di tutto per non rispettarli, per proseguire sulla strada della competizione sleale, come ad esempio la Castelfrigo.

Noi non stiamo chiedendo nulla di più che il rispetto dei contratti e delle leggi, del Patto per il lavoro, di condividere un piano di rilancio e sviluppo del distretto carni modenese dove il buon lavoro ed il buon prodotto siano il volano su cui operare. Per farla breve: chi dice io ti sparo non può avere cittadinanza nel sistema produttivo della nostra regione e del nostro paese.

Antonio Mattioli è responsabile delle Politiche contrattuali per la Cgil Emilia Romagna