Ho letto gli articoli apparsi su Rassegna Sindacale sul Ramadan e ritengo di dover esprimere la mia opinione in proposito. Innanzitutto, dò per scontato il problema della sicurezza dei lavoratori musulmani sia legata a questo periodo, perché già affrontato e risolto alla fine degli anni Ottanta sia nell’agricoltura agricoltura che nell’industria. Il nodo della professione religiosa all’interno dei luoghi di lavoro resta, invece, tuttora aperto. Rispetto quanto previsto dagli articoli 3 e 8 della nostra Costituzione in materia di uguaglianza e libertà religiosa; proprio per questo penso che una confessione religiosa non possa essere assunta né come Religione di uno Stato né come Religione di un posto di lavoro.

Sono convinto che chi si è espresso per il riconoscimento di spazi di preghiera all’interno dei luoghi di lavoro o di pause per pregare non condivida l’ipotesi di uno Stato e di una società confessionale, ma pensi a una società multietnica capace di garantire ad ogni persona la libertà di culto. Sotto il profilo teorico lo stesso principio dovrebbe valere in ogni luogo di lavoro anche se, a mio avviso, ciò potrebbe comportare una Babele organizzativa e contrattuale. Per questa ragione, sento di dover ribadire che gli ambienti lavorativi devono essere laici e aconfessionali, come del resto dovrebbero esserlo gli stessi Stati. Non a caso, in questo campo, il nostro ordinamento ai principi politici non ha fatto seguire specifiche disposizioni normative attinenti al mondo del lavoro.

*segretario Filctem Cgil Treviso